La targhetta col nome sulla vigna, nuovo modo per essere contadini

Nella Valle dei Laghi una proposta di condivisione di Arrigo Pisoni con i suoi figli.

La terra è un bene comune, non solo produzione

Gli spunti

Vorremmo farvi conoscere l’iniziativa dei nostri ragazzi, di ricavare un nuovo vigneto in una zona sassosa, incolta, accanto alla nostra azienda e di proporre il coinvolgimento in questa operazione a quanti condividono l’amore e il fascino per la campagna e la produzione di vino. La proposta quindi, rivolta ad amici, parenti ed estimatori è l’adozione di una pianta di vite, di cui resteranno figurativamente proprietari per tutta la durata del vigneto. Porterà il loro nome e cognome inciso su una targhetta di rame. Ci troveremo per condividere questa iniziativa,con gli amici del “bello”, del “giusto e del “fare insieme”, sabato 29 giugno nella nostra cantina di Pergolese, per una visita al vigneto, la distribuzione delle targhette con il nome e un brindisi d’augurio.

Arrigo Pisoni

Pergolese-Lasino

Caro Arrigo Pisoni, mi sembra molto bella l’iniziativa di far adottare il vostro nuovo vigneto alla grande famiglia dei vostri amici e di chi capisce che nella vite c’è la vita. Chi fa il vino, infatti, ama la vita… Il vino nasce per la tua volontà, cresce per il tuo amore e quando parte per altre tavole porta con sé un po’ della tua fatica e molto della tua passione. Auguri.

Maria Romana De Gasperi

Arrigo Pisoni è il “patriarca”della famiglia e della campagna che coltiva nella Valle dei Laghi, e certo merita questo nome non solo perché ogni lunedì riunisce Stefano, Elio, Giuliano (Luca è mancato improvvisamente pochi anni fa, ed anche la mamma Bianca se ne è andata) per fissare scadenze e progetti, ma perché così tiene uniti i figli già adulti e porta avanti con ottimismo, nonostante i tempi non facili, la sua idea di campagna, di terra che vede al centro una famiglia che poi si allarga a chi ne condivide passioni e valori.

Per Arrigo Pisoni la famiglia non è un clan. E’ un presidio di affetti e territorio, è uno strumento per lavorare e vivere la terra, ed è anche una sfida per condividerla, “nel bello e nel giusto” come usa ripetere – che vuol dire nelle passioni personali e nel lavoro insieme.

Chi conosce Arrigo Pisoni sa che le sue passioni sono la campagna, il lavoro ben fatto, il vino e gli ulivi, la distillazione raffinata delle grappe, la bicicletta e la scultura in legno, tanto che l’ultima sua opera è un monumentale torchio per la pigiatura, capolavoro di incastri e artigianato, copia esatta di quello rinascimentale raffigurato nel ciclo dei mesi al Buonconsiglio. Ma è il “lavoro insieme” il suo vero progetto di vita, perché è condividendo e cooperando che si incrociano le forze da cui scaturisce la vita. Anche la scelta di una campagna sana, biologica, non deriva tanto da formule da applicare ma da comportamenti giusti da vivere. Da una visione d’insieme, come è “insieme” una famiglia che coltiva, sperimenta e poi condivide e quindi s’allarga, con un valore aggiunto in più rispetto alla produzione e al mercato. E’ una visione che viene da lontano, da tanta parte della storia trentina e per i Pisoni in primo luogo da don Zio, il sacerdote e insegnante che educò a pensare liberamente, durante il fascismo, una generazione di studenti, lui catechista al Liceo Prati.

Ma è una visione che viene anche dall’impegno con il cugino Gino Pisoni, animatore del rinnovamento del mondo contadino negli anni Settanta con Carlo Bridi, i 3P e la fondazione dell’Esat. Una strada che ha dato grandi frutti, che la politica ha dimenticato e che merita di essere rivisitata e ripresa.

La decisione di personalizzare il nuovo vigneto (Rebo, il vitigno elaborato come incrocio fra Teroldego e Merlot dal ricercatore e professore di San Michele, ora Fondazione Mach, Rebo Rigotti) si inserisce in questa prospettiva. Mettere l’etichetta col nome su una vigna non è coinvolgere gli amici pensando di averli come futuri clienti, la Pisoni non ha bisogno di questo marketing. E’ invece la volontà di mostrare ad una società sempre più distratta, portata a credere che i prodotti della terra li faccia il supermarket e non l’uomo con il suo lavoro nella natura, che la campagna non è un business consumistico, ma un “pezzo” di vita che riguarda tutti. La targhetta di rame col nome non significa “sono proprietario anch’io di una vigna”, ma vuol dire “partecipo anch’io a un disegno comune che mi riguarda, perché chi dissoda una terra, chi coltiva una campagna in maniera onesta e pulita, porta avanti un bene comune che mi appartiene. Non è solo “affar suo”, è cosa anche mia”. In questo senso con la giornata condivisa del 29 giugno Arrigo Pisoni e i suoi figli hanno sperimentato anche un nuovo modo di essere e di sentirsi contadini, di lavorare la terra non come “tecnici” o manovratori di robot, ma come una comunità cooperante di solidarietà.

Erano in molti a Pergolese per un brindisi alla nuova sfida. Mancava Maria Romana De Gasperi (cittadina onoraria di Calavino), ma sono state lette le sue belle parole ad Arrigo. C’era il senso di partecipare ad un percorso nuovo nell’assolato pomeriggio appena mosso dall’Ora del Garda. Un passaggio importante. Nei libri di economia l’agricoltura viene definita l’attività primaria su cui tutto si regge (la manifattura è il secondario, commercio e servizi sono il terziario). Ma l’agricoltura non è solo un “primario” economico, è un “primario” sociale. Regge il produrre, ma anche chi lo produce: stare insieme, faticare insieme, sentirsi famiglia. A questo s’è brindato a Pergolese.

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