Il valore della persona resta il faro più alto

Da dove ripartire? In stagioni come queste, segnate dalla fatica di trovare vie d’uscita condivise dal buio di una crisi non solo politica, si devono accendere luci invece di maledire l’oscurità.
Un faro, talvolta dimenticato anche da credenti che per questo brancolano in campo sociale e legislativo, sta nel riconoscimento del valore prioritario e intangibile di ogni persona. Persona, che vuol dire più di soggetto e anche più di individuo.
Romano Guardini (1885-1968), il pensatore di origini trentine che ha sviluppato con metodo storico-narrativo la prospettiva del personalismo francese, afferma che “l’essere persona è il dato di fatto etico centrale: il comportamento etico è possibile solo a partire da esso. Nella misura in cui la persona viene rimossa, il carattere etico scompare”.
Senza tirare in causa la dimensioni spirituale, relazionale e anche creativa dell’idea di persona in Guardini (sviscerate dal convegno dell’ottobre scorso a Trento), questo dato di partenza ci autorizza a sostenere che ogni provvedimento politico e anche ogni riforma sociale dovrebbe tendere a rispettare e promuovere la dignità la dignità inviolabile di ogni uomo, “creato a immagine di Dio”, la sua condizioni di parità rispetto agli altri uomini, la sua comune umanità. Non sono soltanto princìpi cristiani, visto che sono fondanti – con adeguata mediazione – nella Carta costituzionale.
Al contrario, dobbiamo quindi lasciarci illuminare anche da questa considerazione: vanno in direzione contraria al valore-persona le scelte economiche che contemplano e producono la penalizzazione di categorie sociali (spesso quelle più deboli, alle quali si dovrebbero invece garantire pari opportunità) o che, peggio ancora, puntano a favorirne altre. Cozzano contro la priorità-persona anche i provvedimenti legislativi che “consentono” di lasciare in una condizione angosciante di precarietà uomini e donne in fuga dai loro Paesi o ridotti alla soglia della povertà.
Ma il valore della persona – che dunque va ben oltre la sua condizione anagrafica, la sua provenienza geografica e la sua appartenenza territoriale – viene disatteso anche quando si consolidano prassi assistenziali o sanitarie che ammettono di fatto l’abbandono di alcuni soggetti (malati cronici, disabili gravi, anziani non autosufficienti…)  e le loro famiglie, per non dire dell’eliminazione anticipata di persone nel grembo materno perché indesiderate o ritenute imperfette.
Nasce anche da questo riconoscimento oggettivo quello che Papa Francesco ha denunciato come “cultura della scarto”, favorita dal dominio tecnocratico e da un autoreferenziale egoismo spacciato per benessere anche familiare o comunitario: “prima vengono i miei vicini…”.
E gli altri? E il bene comune, obiettivo di ogni politica ma anche di ogni economia? A proposito, la conferma viene da quell’imprenditore-pensatore che fu Adriano Olivetti: “La Persona – scriveva, usando la lettera maiuscola – nasce da una vocazione, dalla consapevolezza, cioè del compito che ogni uomo ha nella società terrena, e che come tale essa si traduce in un arricchimento dei valori morali dell’individuo. In virtù di ciò, la Persona ha profondo il senso, e quindi il rispetto, sostanzialmente e intimamente cristiani, della dignità altrui, sente profondamente i legami che l’uniscono alla Comunità cui appartiene, ha vivissima la coscienza di un dovere sociale; essa in sostanza possiede un principio interiore spirituale che crea e sostiene la sua vocazione indirizzandola verso un fine superiore”.
Guardini e Olivetti non possono essere certo accusati di sbandierare un egualitarismo buonista o un individualismo pernicioso. Lo stesso impegno ambientale – sul quale ci concentriamo in questa Giornata mondiale del primo settembre – viene collocato dalla “Laudato sì” nel primato della persona dentro una relazione dialogica con gli altri e con l’ambiente.
Da cittadini, non solo da cristiani, possiamo ripartire dalla paziente opera di riconciliazione attorno alla priorità delle persona, del suo valore riconoscibile. E favorirlo alla tavola di famiglia, ma anche nei corridoi di scuola o nelle sale d’attesa. Senza usare o giustificare espressioni stereotipate e subdolamente discriminatorie (noi/loro o vicini/lontani… ) per affermare serenamente invee il sentimento buono del rispetto e forse anche il desiderio di fraternità, a cominciare dal sagrato della nostra chiesa.

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