Armi all’Egitto: “Scelta inammissibile e ingiuriosa”, dicono associazioni e movimenti per la pace e i diritti umani

Pratica di Mare, 4 aprile 2020: il ministro degli Esteri Luigi Di Maio accoglie il volo con gli aiuti sanitari donati dall’Egitto, Foto esteri.it

“Inaccettabile, oltraggiosa e in aperto contrasto con le norme sancite dalla legge vigente”: così Rete italiana per il disarmo e Rete della Pace definiscono la possibile imminente autorizzazione, segnalata da organi di stampa, da parte del Governo italiano di ingenti forniture militari alle forze armate dell’Egitto. Un Paese, ricordano, che è schierato “a fianco dell’autoproclamato Esercito nazionale di liberazione libico (Lna) del generale Khalifa Haftar”, e che “da anni sta destabilizzando ogni negoziato per la pacificazione in Libia”.

La decisione di dare seguito a quella che viene definita “la commessa del secolo” farebbe dell’Egitto il principale acquirente di sistemi militari italiani con un contratto per forniture militari del valore complessivo di 9 miliardi di euro, il maggiore mai rilasciato dall’Italia dal dopo-guerra, ma rappresenta – dicono Rete Disarmo e Rete della pace – anche un oltraggio “sia nei confronti della memoria di Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano barbaramente assassinato in Egitto e sulla cui morte le autorità egiziane non hanno mai contribuito a fare chiarezza, sia nei confronti di tutti coloro – oppositori politici, sindacalisti, giornalisti, difensori dei diritti umani – che vengono perseguitati perché non sono graditi al regime imposto dal generale al-Sisi, come dimostra anche il caso di Patrick Zaky”. L’attivista e ricercatore egiziano si trova dal 7 febbraio in detenzione preventiva fino a data da destinarsi: rischia fino a 25 anni di carcere per dieci post di un account Facebook, che la sua difesa considera “falso”, ma che ha consentito alla magistratura egiziana di formulare pesanti accuse di “incitamento alla protesta” e “istigazione a crimini terroristici”. Per Amnesty International Zaki è “un prigioniero di coscienza detenuto esclusivamente per il suo lavoro in favore dei diritti umani”.

Rete Italiana per il Disarmo e Rete della Pace chiedono al ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Luigi Di Maio – che il 3 giugno, informa una nota della Farnesina, ha avuto un colloquio telefonico con il suo corrispettivo egiziano, Sameh Shoukry -, di riferire in Parlamento e invitano tutte le forze politiche a manifestare la propria contrarietà alle nuove forniture militari all’Egitto.

All’appello si sono unite immediatamente le riviste Missione Oggi dei missionari Saveriani, Nigrizia dei Comboniani e Mosaico di Pace del movimento Pax Christi, promotrici della Campagna di pressione alle “banche armate”, che vedono in questa nuova fornitura un esplicito sostegno al regime repressivo instaurato dal generale al-Sisi all’indomani del colpo di Stato del luglio 2013. La legge n. 185 del 1990, ricordano, non solo vieta esplicitamente le esportazioni di armamenti verso i paesi i cui governi sono responsabili di accertate “violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani”, ma prescrive che l’esportazione di materiale di armamento e la cessione della relative licenze di produzione “devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia”.

Poiché come per i contratti per sistemi militari già effettuati nel 2019 – del valore di 872 milioni di euro in gran parte per la fornitura di 32 elicotteri prodotti dalla società a controllo statale Leonardo Spa, ex Finmeccanica – si rendono necessari prestiti, anticipi e garanzie finanziarie da parte degli Istituti di credito, le tre riviste invitano gli Istituti di credito a manifestare pubblicamente il proprio diniego a concedere prestiti e servizi finanziari alle aziende per la produzione e la vendita di sistemi militari all’Egitto e di renderlo noto attraverso comunicati stampa.

L’appello è rivolto anche alle comunità religiose ed ecclesiali, alle associazioni e ai gruppi: “Contattate la vostra banca chiedendo di emettere una dichiarazione pubblica di diniego di prestiti e servizi finanziari alle aziende per la produzione e la vendita di sistemi militari all’Egitto”, raccomandano Mario Menin, Filippo Ivardi Ganapini e Rosa Siciliano, direttori rispettivamente di Missione Oggi, Nigrizia e Mosaico di pace. E se non rispondono o si rifiutano, “valutate la possibilità di trasferire il conto corrente presso Istituti di credito che hanno assunto una posizione chiara in materia e direttive rigorose e trasparenti per quanto concerne il finanziamento e il sostegno alle aziende militari e al commercio delle armi”.

“Non possiamo accettare che la ripartenza dell’Italia a seguito dell’epidemia da Covid-19 – concludono – sia ancora una volta segnata da un’economia che privilegia le spese militari e gli investimenti in armamenti a scapito delle cure sanitarie, degli investimenti per la pace, la sostenibilità e la cooperazione tra i popoli”.

“È l’astuta ‘mossa del cavallo’ del faraone del Cairo”, osserva Giorgio Beretta, analista di Opal, in un articolo su Osservatorio Diritti. “Con una sola mossa (l’acquisto di sistemi militari italiani), il presidente al Sisi mira non solo a fare tabula rasa delle rimostranze per la gestione del caso Regeni, ma soprattutto intende accreditarsi agli occhi dell’Italia come un partner affidabile e rispettoso dei diritti umani: quale Paese venderebbe mai un intero arsenale militare ad un autocrate che permette l’assassinio di un suo cittadino?”.

Beretta rimarca che solo “poche e flebili” voci del mondo politico si sono levate contro l’affare militare da 9 miliardi di euro tra Roma e il Cairo: la capogruppo Pd in commissione Esteri alla Camera, Lia Quartapelle; Erasmo Palazzotto, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’omicidio di Giulio Regeni, e Nicola Fratoianni, entrambi di Leu. “Spicca soprattutto – fa notare Beretta – il silenzio dei portavoce del Movimento Cinque Stelle: non vogliono mettere in imbarazzo il ministro degli Esteri?”.

Indignazione legittima, protesta sacrosanta, ma sterile, quella delle associazioni pacifiste e per i diritti umani? Non proprio, sottolinea Beretta: se è vero che la fornitura all’Egitto di due fregate della Marina Militare pare sia ormai in dirittura d’arrivo, “il consistente affare militare per le altre fregate, i pattugliatori, i caccia e gli aerei addestratori non è concluso”: il ministero degli Esteri e il governo “possono non concedere l’autorizzazione all’esportazione di sistemi militari all’Egitto”. Bloccare l’affare che si sta perfezionando a scapito del rispetto dei diritti umani e della legge è ancora possibile.

Comunità, associazioni e singoli che intendono aderire all’appello sono invitati a inviare una mail a: campagnabanchearmate@gmail.com.

Audio: John Mpaliza parla della campagna “Banche armate”:

 

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