“Infanzia, fondamentali i processi inclusivi. Ma serve più attenzione dalla politica”

Il percorso “Fedro – Piccoli pensieri grandi idee” è rivolto ai bambini tra i 6 e gli 11 anni

Infanzia a casa: quali conseguenze e prospettive?”. Questo è il titolo della terza conferenza del ciclo “Lavoro sociale e covid: COme VIvremo DOmani?”, che si è svolta lo scorso giovedì 2 luglio sotto l’attenta organizzazione di Fondazione Demarchi, Con.Solida e CNCA Trentino Alto Adige. Tra gli interventi anche quello di Paola Venuti, direttrice del Dipartimento di Psicologia e di Scienze Cognitive dell’Università di Trento.

Venuti, in questi mesi si è parlato tanto di sindrome della capanna, cioè della paura di uscire di casa dopo la quarantena. Può accadere anche ai bambini?

Premetto che non mi piace chiamarla sindrome della capanna. Non mi piace definire sindrome, tipicamente psicopatologica, un fenomeno passeggero. Credo però che dopo essere stati chiusi in casa due mesi sia quasi inevitabile affrontare il mondo con una certa difficoltà, con una certa paura. Sicuramente tutto ciò tocca i bambini, forse anche più degli adulti. Perché i bambini sono abituati a stare all’aperto, ad andare a scuola, a fare mille attività. Improvvisamente invece ci siamo ritrovati chiusi in casa e, altrettanto improvvisamente, adesso usciamo. Ma il bambino ha ancora dentro la paura. Tutti gli apparati comunicativi devono saper spiegare a un bambino cosa sta succedendo e come si deve comportare.

Quanto ha influito la pandemia sui bambini con bisogni educativi speciali?

Da questo punto di vista, la pandemia è stata abbastanza devastante, anche perché molte terapie sono state interrotte. Anche la didattica a distanza, che ha funzionato per molti bambini, per i soggetti con bisogni educativi speciali è stata molte volte quasi impossibile. Per molti bambini la cura fondamentale è stare con gli altri assieme a un adulto che sappia mediare. Bisogna fare veramente una grossa attenzione ai processi inclusivi, ai quali, devo dire la verità, le politiche non sono attentissime in questo momento.

Quali secondo lei le conseguenze e le prospettive?

Le conseguenze sono un mondo e delle relazioni sociali che sono cambiate, assieme anche alle forme di apprendimento e alla didattica. Vedo però anche degli elementi positivi, come una migliore relazione tra scuola e famiglia, che secondo me si era un po’ persa.
L’altro grosso aspetto sul quale riflettere è la tregua che la quarantena ci ha dato, la possibilità di stare in casa e di renderci conto che in alcuni momenti, così, siamo stati anche molto bene. E i bambini hanno avuto un vantaggio: hanno riscoperto la noia e i giochi solitari. Perché non è necessario pensare a una vita in cui tutte le ore sono occupate: anche per la calma dei genitori, che in questo periodo secondo me sono gli elementi più fragili. Abbiamo sottoposto un questionario a molti padri e madri, e tanti tra loro che hanno figli con disabilità ci hanno detto di aver trovato un lato positivo in questo periodo: hanno avuto il tempo di conoscere meglio il proprio figlio. Perciò dico che della pandemia vedo anche aspetti positivi, come il recupero di un ruolo genitoriale.

Altri punti importanti?

Il ruolo delle istituzioni nell’aiutare, anche economicamente, le famiglie. I campi estivi ad esempio costano tantissimo: non è detto che tutte le famiglie riescano a permetterseli. Mentre la priorità nelle scuole dell’infanzia viene data ai genitori che lavorano; anche giustamente, direi. Ma così ci saranno dei bambini che arriveranno a settembre non avendo avuto occasioni di socializzare.

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