Recovery Fund, attenti a non illudersi…

EP Plenary session – Joint debate Conclusions of the extraordinary European Council meeting of 23 April 2020 and new MFF, own resources and recovery plan

Chi si illude che la lunga e drammatica vicenda del Recovery Fund sia conclusa fa male i propri conti. Nessuno può negare che il risultato del Consiglio europeo di metà luglio sia stato alla fine un buon successo. Ma da qui a dire che il generoso gruzzolo comunitario ottenuto dall’Italia (208,8 miliardi) sia già nelle nostre tasche è del tutto irresponsabile.

Non tanto perché gli esborsi a nostro favore cominceranno a fluire nelle casse italiane nella tarda primavera del prossimo anno, ma soprattutto perché la decisione sul Recovery Fund deve ancora essere perfezionata. I prossimi passaggi verso la sua formalizzazione sono tutt’altro che scontati. Alcuni dettagli tecnici devono ancora essere messi a punto dalla Commissione e dai comitati ad hoc del Consiglio e non è detto che qualche paese, sotto la pressione dei populisti di casa, non sia tentato di rimangiarsi quanto concesso nel negoziato di Bruxelles. Ma a parte questi aspetti di dettaglio, vi sarà poi la discussione all’interno del Parlamento europeo che in teoria dispone del potere di veto.

Se si misura il risultato del Consiglio con le posizioni iniziali del Parlamento, la distanza è grande e gli europarlamentari avrebbero buone ragioni per essere scontenti, anche se il senso della svolta non può loro sfuggire. Saranno quindi riluttanti ad utilizzare l’arma nucleare del veto, ma è difficile credere che Strasburgo si limiterà ad avallare Bruxelles. Ci sarà quindi con tutta probabilità un negoziato per ottenere dei miglioramenti nelle voci che sono state duramente tagliate, come le spese in ricerca o nel campo della difesa e dell’innovazione.

Una volta concluso questo iter interno alle istituzioni europee sarà la volta delle ratifiche nazionali, come è previsto dai trattati in materia di bilancio comune. Viste le difficoltà e la distanza delle posizioni nel corso del negoziato di luglio in seno al Consiglio, le sorprese non sono da accantonare del tutto. C’è da sperare che i 27 parlamenti, cui va aggiunto il 28esimo autonomo delle Fiandre belghe, seguano le indicazioni dei loro leader e votino quindi positivamente. A meno che qualche paese particolarmente insoddisfatto (leggi Olanda) del compromesso raggiunto a Bruxelles non decida di affidarsi ad un referendum. Sappiamo quanto questo strumento di democrazia diretta possa dare risultati imprevedibili. Proprio l’Olanda nel 2005 contribuì ad affossare con il no referendario il Trattato costituzionale europeo, tanto per fare un esempio non a caso. C’è da sperare che l’irresponsabilità del premier Mark Rutte, che tanto ha ostacolato l’accordo di Bruxelles, non arrivi fino a quel punto.

Vi è poi la questione della condizionalità del Recovery Fund. Anche qui, illudersi che il denaro comune arrivi in Italia senza alcun controllo è del tutto inappropriato. A parte l’obbligo di predisporre progetti in linea con gli obiettivi della Commissione, ambiente, digitalizzazione e infrastrutture, vi sarà una stretta sorveglianza sull’implementazione dei piani approvati. Sulle singole erogazioni veglieranno sia la Commissione che il Comitato economico e finanziario, organo del Consiglio. Ma a maggiore garanzia di controllo è stato inserito nell’accordo (su richiesta di Olanda e paesi frugali) il cosiddetto “freno di emergenza”. In caso di dubbi sull’uso del denaro comune, un singolo paese può chiedere lo stop alle erogazioni aprendo un periodo (tre mesi) di discussione all’interno dello stesso Consiglio europeo. Anche se poi la decisione finale ritornerà nelle mani della Commissione, è davvero difficile credere che essa abbia la forza di discostarsi dalle indicazioni del Consiglio.

Insomma, sia per l’incertezza che ancora circonda il futuro del Recovery Fund, sia per la forte condizionalità che esso prevede nelle erogazioni finanziarie, non si comprende davvero l’opposizione all’uso del Mes, il fondo salva stati che in Italia viene visto da M5S e alcune forze di opposizione come il diavolo.

Sono 32 miliardi già da subito disponibili, a tassi estremamente vantaggiosi e da spendere per una sanità che alla luce della crisi del Coronavirus ha dimostrato la sua grande debolezza. Stupisce soprattutto che i presidenti delle regioni e province italiane, competenti nel campo della sanità non facciano pressione sul governo per attivare questo fondo, al di là della loro fede leghista o di M5S. Puntare tutto sul Recovery Fund può dimostrarsi un grande e irrimediabile errore.

#Ue
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