Ritornare alle malghe, per una montagna in armonia

La copertina del lavoro di Luciano Navarini edito da Curcu & Genovese

Lo spunto

Andar per malghe e bivacchi non è certamente un’attività escursionistica da rubricare fra le minori. Si tratta di destinazioni che, per certi versi, sono diametralmente opposte. Chi va in montagna alla ricerca di esperienze, al di là dell’attività alpinistica fine a se stessa, trova nel mondo un po’ arcaico della malga la dimensione più profonda e autentica della montagna. La cultura della malga – cioè dell’alpe – costituisce, infatti, l’essenza profonda della civiltà alpina. Le Alpi nella loro etimologia lessicale prendono il loro nome da “alp”, un nome antico, preindoeuropeo, che si richiama alla pratica del’alpeggio, della monticazione estiva del bestiame alle diverse quote altitudinali. Nel linguaggio dei montanari di tutto l’arco alpino, ma non solo, la parola “montagna” si riferisce ancora oggi al pascolo alto al di sopra degli insediamenti permanenti, al “pascolo pingue” delle mandrie bovine e al “pascolo magro” delle greggi di pecore. Solo con la nascita dell’alpinismo, dalla fine del Settecento, il termine montagna verrà a significare le cime, le vette, le rocce, le vedrette.

Annibale Salsa

Dopo i rifugi alpini ed escursionistici mi sono messo al lavoro, zaino in spalla, macchina fotografica a tracolla, fogli per appunti e via per monti e per valli con mia moglie – con cui lavoro “a quattro mani “ da più di 40 anni – e in compagnia di buoni amici. Man mano che le ricognizioni procedevano scoprivo sempre altre malghe e la ricerca si allargava.

Luciano Navarini

Uscito nei mesi del coronavirus questo libro ne costituisce quasi l’antidoto. Non ha potuto ancora essere presentato in pubblico, ma dalla “clausura” induce all’ evasione. “Malghe e bivacchi del Trentino Occidentale”, di Luciano Navarini, precorritore di monti e ben noto scrittore, infatti, non solo informa i lettori su quel patrimonio immenso (di cultura alpina, lavoro, bellezza, architettura) che sono le malghe, ma purifica atteggiamenti e sentimenti nei confronti della montagna, troppo spesso ridotta a fondale di “eventi” volgari. La malga è invece, davvero, un’alternativa di autenticità. Nasce da una dura fatica, da necessità di vita, richiede lavoro, ma non è solo un riparo, o un luogo dove trasformare il latte nei suoi derivati preziosi, il formaggio, il burro, le ricotte. Attraverso la quotidianità diventa un luogo dove trovare momenti e occasioni di vita in piena armonia fra loro. Ciò che più colpisce nelle malghe è infatti l’equilibrio fra l’uomo, la natura e gli animali, fra i momenti di lavoro e quelli del riposo (il pastore ha pur tempo per intagliare il suo bastone di sorbo, per immergersi nelle nubi lontane, per zufolare un canto …). Il pascolo è anche equilibrio fra fatica nel dissodare e impegno quotidiano nel gestire, impedendo che venga infestato dalle male erbe, corroso dalle alluvioni, ed oggi morso dalle ruote dei Suv o sbancato dalle ruspe dei “valorizzatori”. Quanto agli edifici essi hanno una razionalità e una funzionalità che potrebbero servire da lezione a tanti progettisti presuntuosi. Altro che “stalloni” come con disprezzo a volte sono stati definiti, magari proponendone l’abbattimento o lo scontato declassamento a sala di ristorazione. Basta scorrere le immagini del libro per accorgersi, invece, di quanti spunti di originalità nella tradizione e al tempo stesso di funzionale innovazione (la maggior parte delle malghe dispongono di porticati per poter stare all’aperto anche in caso di maltempo) presentino. Alcune sembrano castelli alpini, riscatto di libertà popolare verso i “signori” che dominano le valli, altre templi classici, con il corpo rettangolare in pietra e i tetti a triangolo in legno, secondo antiche tipologie formali archetipe.
Navarini conduce il lettore – l’escursionista, ma anche chi è costretto a “viaggiare” senza muoversi dalla sedia di casa – attraverso questa esplorazione. Lo fa in modo minuzioso, tanto che il volume (quello uscito, 447 pagine, edito da Curcu e Genovese con patrocinio Sat si riferisce solo a parte del Trentino Occidentale, altri dunque seguiranno) potrebbe anche apparire un “catasto” di tutte le malghe. Ma non lo è, pur avendone la completezza e l’utilità. E’a sua volta un monumento di cultura alpina, perché riporta alle origini della montagna, alla sua identità come alternativa di vita libera, non ostentazione adrenalinica di eccessi. Anche per questo il libro non si limita a coinvolgere il lettore, ma in un certo senso lo purifica. Perché lo trasporta dalle polveri sottili delle città e dal riciclo delle atmosfere condizionate all’aria della montagna, mossa dal vento, ossigenata dai temporali, distanziata sui pascoli alti. In un’aria ancora più sottile, lassù, Navarini pone i bivacchi, quasi a “completare” le malghe come ricovero di essenzialità, ultimo limite di presenza sulla roccia e sul ghiaccio. Malghe e bivacchi: quasi l’alfa e l’omega di una cultura della montagna da vivere con rispetto. E gioia.

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