Un quadro politico in mutamento

Lasciamo perdere le analisi fatte a caldo dai leader politici che sono obbligati a recitare la commedia secondo cui ognuno ha vinto. Quel che è successo con la tornata elettorale del 20-21 settembre è un altro paragrafo del cambiamento del nostro sistema politico.
La prima questione è se si stia esaurendo la fase dell’esaltazione antipolitica. Molti lo vedono nel fatto che l’impostazione politica di Salvini ha subito una sconfitta e altrettanto nel deciso declino della fortuna elettorale dei Cinque Stelle. Di contro però sta l’ampio successo del sì alla riforma demagogica grillina: la distribuzione del voto non lascia spazio all’interpretazione ottimistica che vi abbia concorso in maniera importante una volontà di usare l’occasione per varare un più serio processo di riforma del nostro sistema costituzionale. Vedremo presto se questo si avvierà e soprattutto avvertiamo che la riforma elettorale non ha una vera connessione con esso.
La seconda questione è l’ulteriore sviluppo dell’evoluzione del sistema dei partiti. Pochi escono non toccati dall’evento: forse FdI, che però non decolla veramente, e LeU che rimane una piccola formazione di reduci del vecchio sinistrismo. Renzi che voleva essere la nuova gamba di centro di un centro-sinistra nuovo conio ottiene un risultato molto lontano da quella ambizione che diventa un libro dei sogni. I Cinque Stelle perdono clamorosamente il loro appeal sull’onda del rigetto della politica: anzi, a livello locale reggono un poco solo là dove l’hanno mantenuto, mentre a livello nazionale sono ormai “governisti” a tutto tondo che si stanno convincendo che possono esserlo solo se si mettono al seguito del PD. Naturalmente per non essere del tutto schiacciati su questo ruolo cercheranno di continuare a pretendere di far sventolare qualcuna delle loro bandierine, cioè continueranno a far danni.
Berlusconi e la sua FI sono una componente marginale di una destra che di quel tipo di centro non sa che farsene. Dovrà ripensarsi e trasformarsi sempre più in un partito di lobbisti pronto a giocarsi fra la destra e la sinistra, cioè di volta in volta fra chi è al governo e chi è all’opposizione. Quanto alla Lega Salvini incassa una nuova sconfitta, perché non vuol capire che non si sfonda con l’estremismo. Zaia l’ha capito benissimo e infatti raccoglie percentuali bulgare di consenso.
Il PD è tornato ad essere un partito in mezzo al guado. Certo ha recuperato bene rispetto ad una situazione in cui era stato costretto ad uscire dal guado, ma per tornare sulla riva di partenza. Oggi mostra la capacità di sfruttare la sua vera forza, che non è l’ammiccare al sinistrismo di moda, ma il puntare sul disporre di una classe di sperimentati professionisti della politica. Per questo vince in Toscana, ma anche in Campania e Puglia, sebbene De Luca, ma molto più Emiliano sia un tipo di professionista della politica molto “meridionale” nel senso non esaltante che questa espressione ha assunto. Tuttavia adesso Zingaretti e il suo gruppo dirigente hanno l’arduo compito di costringere un riluttante Conte a lasciar perdere con le mattane dei Cinque Stelle: impresa ardua per il premier che ha il fondato timore che una volta perso quell’appoggio sia in bilico anche la sua posizione personale.
Tuttavia la lezione più rilevante che viene dall’esito delle regionali è che la posizione di un “governatore” è un potere importantissimo che può mettersi tranquillamente in dialettica con quelli del governo. Non sfugga che hanno vinto quattro governatori assai pugnaci, siano di destra o di sinistra (Zaia, Toti, De Luca, Emiliano), e che anche in Toscana alla fine ha prevalso un uomo del suo sistema di governo che grazie al governatore uscente Rossi ha costruito un credito difficile da scalfire. Ciò significa che, come si era già visto nelle vicende della gestione della pandemia, quella specie di federalismo anomalo e strisciante che si è creato negli ultimi decenni, sta modificando il nostro sistema di equilibri politici e di distribuzione del potere.
Tutto questo si riverbererà sulla stagione che si apre e che ci vedrà alle prese col tema spinoso della gestione del rapporto con la montagna di miliardi europei data in arrivo. Non saremmo così sicuri che gli equilibri della maggioranza e la impostazione di Conte reggano tranquillamente l’urto di questa sfida. Le spallate fanno parte delle fantasie di Salvini, ma la politica si modifica con spostamenti che sembrano spesso marginali e irrilevanti e che rivelano solo a posteriori la loro forza di impatto.

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