Il rilancio

Renzi rilancia su tre fronti: la legge finanziaria, il rapporto con l’Europa, i conti col suo partito

Renzi agisce secondo il suo stile: rilancia in continuazione. Questa volta lo sta facendo su tre fronti: la legge finanziaria, il rapporto con l’Europa, i conti col suo partito.

La legge di stabilità è una scelta a suo modo audace. Decidendo di andare a finanziare in deficit le misure per il rilancio dell’economia rompe il tabù della sottomissione a Bruxelles e prova a dare una scossa ad una situazione ancora stagnante. Ci riuscirà? Presto per dirlo, perché ovviamente la legge deve passare le forche caudine di un parlamento al momento abbastanza poco governabile (soprattutto al Senato). Poiché nella legge di stabilità c’è anche la spinosa questione dei provvedimenti in materia di lavoro e accanto c’è il jobs act ci possiamo aspettare scintille.

La CGIL testardamente continua a puntare ad indebolire il governo, senza spiegare cosa pensa possa venire dopo. La Camusso se l’è presa perfino con la piccola manovra a sostegno della maternità (gli 80 euro per ogni neo-mamma) dichiarando che era meglio aprire nuovi nidi, senza spiegare che mentre l’erogazione economica è relativamente semplice e ad effetto immediato, quel che lei propone avrebbe tempi di esecuzione molto più lunghi. Però bisogna notare che il massimalismo sindacale va facendo breccia anche altrove: il nuovo segretario in pectore della UIL si è buttato subito sulla vertenza del blocco dei salari nel pubblico impiego minacciando fuoco e fiamme con scioperi selvaggi (questo significa la disdetta del rispetto dei paletti fissati dagli accordi vigenti). La CISL al momento sembra tenere botta, ma il pubblico impiego è un settore dolente anche per lei.

Col populismo montante di Salvini e Grillo e con un Berlusconi sempre più spaesato e incapace di linea politica non c’è da aspettarsi gran che di buono.

Forse anche per questo al governo non dispiace il confronto con l’eurocrazia di Bruxelles. Al momento a menare le danze sembra essere un Barroso che consuma i suoi ultimi giorni cercando forse di ritrovare, nell’opposizione all’Italia, quel piglio di governo che non ha mai avuto (la sua pagella come presidente della Commissione non è mai stata brillante). Possibile che appena ad inizio novembre arriverà Junker, certo meglio attrezzato sul piano politico e diplomatico, si senta un’altra musica e che Renzi possa presentarsi come il premier italiano che si è fatto rispettare in sede UE. Del resto a nessuno in Eurolandia conviene veramente gettare l’Italia nel caos e dunque probabilmente si faranno un po’ di fuochi d’artificio, ma poi tutto troverà una sistemazione soddisfacente. Siamo anche in buona compagnia perché la Merkel vuole salvare Hollande e non può certo farlo impallinando Renzi.

Il premier deve però trovare una certa stabilità di rapporto col suo partito. Ovviamente una parte del dibattito sulla crisi della “forma partito” è surreale, laddove ci si mette a discutere se il modello di PD che ha in mente Renzi non sia la riedizione di quello della DC come “partito della nazione”. Chiunque abbia qualche nozione di storia politica (ormai non molti, purtroppo) sa che tutti i partiti che vincono le elezioni sono partiti che si creano una “trasversalità” nell’elettorato: la DC lo fece sull’onda del cattolicesimo come cultura nazionale unificante, l’SPD di Brandt nel passaggio da “partito di classe” a “partito di popolo”, il PCI cercò di farlo inventandosi che tutti erano lavoratori, chi del braccio e chi della mente, il Labour Party e il partito conservatore in Gran Bretagna si sono costantemente disputati il titolo di partito “nazionale”. Anche nel PD a tutti andrebbe benissimo essere il partito di maggioranza, discutono solo su chi debba guidarlo traendone beneficio.

La battaglia è dunque solo sul peso che devono avere i “tesserati” che oggi sono ridotti ad essere in gran parte militanti avanti con l’età e nell’altra parte uomini delle varie cordate interne, territoriali e nazionali. Renzi e i suoi non vogliono farsi condizionare da questa composizione che non è quanto di meglio si possa avere a disposizione per mettere in campo una strategia per vincere in modo decisivo elezioni che potrebbero anche essere non troppo lontane.

La problematica di questo momento è tutta nell’intrecciarsi dei tre livelli che abbiamo indicato e nell’incertezza di poterli tenere sotto controllo: un problema di Renzi, ma, se non sono ciechi, un grosso problema anche di tutti i suoi avversari.

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