Gianantonio Manci, martire della Resistenza, nei ricordi del nipote Francesco Ronga

Da Oltrecastello, piccola frazione di Trento tra il Doss Sant’Agata e il monte Celva, si sale per una strada ripida fino ad arrivare ad una splendida costruzione sede di “Tenuta Volpare”, azienda vitivinicola condotta da Francesco Ronga. La casa del ‘500, dove Francesco dallo scorso anno risiede con la sua famiglia, era stata acquistata assieme al terreno circostante nel 1937 da Giannantonio Manci, poi martire della resistenza trentina. Il conte Manci aveva intrapreso varie attività economiche e fra queste l’acquisto della proprietà sopra Oltrecastello era stata fatta con l’idea di tenere dei greggi di pecore per produrre lana. Molte delle svariate attività economiche del conte Giannantonio Manci sono andate poi perse in quanto dopo la sua morte la famiglia le ha cedute. Ma non la proprietà di Oltrecastello che è stata tramandata, filo diretto che collega il nonno al nipote Francesco, un filo anche di parentela, familiarità, di memorie e forse di buon auspicio per la vendita del suo vino…

Il conte Manci, nei primi decenni del Novecento – cent’anni fa – era molto conosciuto e benvoluto in città, a Trento, ma aveva conoscenze in tutto il Trentino e anche altrove. Si era diplomato ragioniere, faceva l’imprenditore, poteva vantare diverse attività commerciali riuscite, era una persona che – come si dice – “vedeva gli affari”. Giannantonio Manci era anche un oppositore del regime fascista, fin dall’inizio, e cospiratore contro l’occupazione nazista in quel frangente storico – in quei mesi terribili di guerra e cospirazioni – e veniva perciò controllato da diverso tempo dalla polizia segreta. Di formazione culturale liberale e repubblicana, l’adesione di Manci alla tradizione risorgimentale era data anche dal seguire le orme di famiglia: un suo prozio, Filippo Manci, aveva partecipato a tutte le campagne garibaldine fino allo sbarco dei Mille… Sembrava quindi quasi naturale per lui coltivare uno spirito mazziniano, non settario, aperto al libero confronto delle idee e opinioni. Manci aveva diversi sacerdoti amici con i quali amava conversare, aprirsi, nel reciproco rispetto e nel confronto. Nel settembre 1943 insieme a Ottolini, Pincheri, Disertori, Bacchi e de Unterrichter aveva fondato il Comitato di liberazione nazionale trentino.

Alla fine di giugno del 1944 in seguito ad una delazione Manci venne catturato e trasferito insieme ad altri nel carcere di Bolzano. In una tasca della sua giacca venne in seguito rinvenuto il “Manifesto di Ventotene”, il documento che già allora rimarcava la necessità di dar vita agli Stati Uniti d’Europa; progetto ambizioso ma non illusorio, miglior antidoto alle dittature e strumento per consolidare le democrazie e i diritti fondamentali. Questo per dire come fossero anticipatrici alcune intuizioni di questo grande uomo. Alla Gestapo che l’aveva condotto via dalla sua casa premeva avere i nomi degli altri antifascisti ancora in libertà; la collaborazione di Manci era fondamentale per stroncare le fila della Resistenza in Trentino. Venne sottoposto a numerosi interrogatori, prima in forma bonaria poi via via con metodi sempre più brutali. Gli amici di prigionia testimonieranno poi, a guerra finita, di aver udito per giorni e notti, ripetutamente, lamenti e grida provenienti dalla sua cella. “La mattina del 6 luglio – si legge nella relazione della Questura – il Manci fu condotto in una stanza del terzo piano (…) Il Manci stava seduto su di una sedia, pallido nel volto, stremato e certamente conscio di non poter resistere a nuove torture”. Gettarsi dalla finestra deve essere stato per lui l’estremo tentativo di sottrarsi alle sevizie a cui avrebbe potuto cedere. Era così riuscito a non fare il nome degli amici e compagni della Resistenza preservando la loro incolumità.

C’è una strada, nel centro cittadino che porta il suo nome, c’è una lapide che lo ricorda a Trento nella galleria dei Partigiani prospiciente piazza Cesare Battisti; è dedicata a Manci anche la piazza di Povo. Un uomo altruista e coraggioso, che deve essere conosciuto da tutti, specialmente dai più giovani.

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