L’umanità del Risorto! L’idea fissa di don Lauro

Il vescovo di Trento, mons. Lauro Tisi. Foto © Gianni Zotta

Dopo una Quaresima di isolamento, “sospeso” insieme a tanti di noi in questi mesi di pandemia mondiale, l’arcivescovo Tisi rientra in tempo per fare Pasqua, come i parroci don Lino Zatelli e don Luigi Mezzi, pure guariti dal Covid dopo oltre un mese. Nella sera del Sabato Santo potremo ricordare insieme quel 3 aprile di cinque anni fa: accompagnato dai giovani, con il suo passo spedito da buon rendenero, don Lauro arrivò in Duomo nel clima anche allora pasquale della Domenica in Albis.

Ora il suo passo è rallentato, la voce meno tonante, ma è rafforzata la sua fiducia nel Falegname di Nazareth, Crocifisso e Risorto. Non si stancherà mai di ripeterla questa idea fissa, incastonata come una perla già nelle prime frasi dell’omelia di cinque anni fa dalla cattedra di San Vigilio: ”Non c’è altro da sapere, altro da comunicare se non Lui: il Crocifisso Risorto. La sua vita, le sue parole, i suoi gesti, la sua umanità sono uno squarcio nelle tenebre di quest’ora della storia, ci suggeriscono vie inedite ed inaudite fatte di compassione, di tenerezza, di misericordia”.

Una promessa e una profezia di cristiano anonimo, non solo di pastore. Un impegno al quale in questi cinque anni ha tenuto fede con tenace dedizione, squadernandoci in tante occasioni il suo stupore per l’umanità di Gesù e per quel “Dio capovolto” che rivediamo nel Giovedì Santo inginocchiarsi a lavare i piedi ai suoi discepoli.

L’ex vicario generale eletto Arcivescovo scelse dopo la nomina del febbraio 2016 il motto “Il Verbo si è fatto carne” e da allora la concretezza delle iniziative ha validato l’insistenza della predicazione sull’umanità del Risorto che assume “il volto dell’altro”. Lo abbiamo visto esporsi per i profughi penalizzati nei loro bisogni, visitare i carcerati e stare con loro nei giorni di festa, accompagnare nel lutto la famiglia di Antonio Megalizzi, ucciso dal terrorismo, e quella di Michela Ramponi, strappata via dalla tempesta Vaia. Sono scelte di campo e di agenda pastorale che oggi richiamiamo soltanto per un invito alla riconoscenza e alla ripartenza in quest’anniversario. Lui non vorrebbe: “Parliamo della comunità, non del vescovo”, chiese alla prima intervista.

La sintonia con papa Francesco, che il 29 giugno di 5 anni fa gli consegnò il Pallio arcivescovile a Roma, è andata ben oltre i gesti dei primi mesi (la scelta di non abitare in episcopio, la rinuncia al segretario sacerdote…) per ricercare piuttosto una Chiesa “povera, per i poveri”, affermata con alcuni segni pedagogici, condivisi con gli operatori pastorali.

Il più recente è stata la destinazione a dormitorio per i senza dimora dell’aula inutilizzata della chiesa di Centochiavi. Ma anche il dono alla comunità del carcere di Trento di un giovane sacerdote a tempo pieno, la disponibilità personale a tanti incontri di sensibilizzazione sulla piaga dei suicidi, la prevenzione degli abusi sui minori e la denuncia della violenza sulle donne, la determinazione a pubblicare un rapporto trasparente dei conti diocesani.

Ma l’applicazione in chiave locale di Evangelii Gaudium, Laudato Sì e Fratelli tutti è favorita da un’affinità spirituale con Bergoglio: restammo colpiti in molti, ad esempio, quando papa Francesco e mons. Lauro commentarono con le stesse parole la denominazione “Madre di tutte le bombe”. “Una madre genera vita – disse Tisi nel Venerdì Santo del 2017 – . Rifiutiamo con forza anche solo l’idea che a uno strumento di morte venga dato il titolo di madre”. E il Papa solo pochi giorni dopo: «Mi sono vergognato del nome di una bomba, l’hanno chiamata ‘la madre di tutte le bombe’, ma guarda, la mamma dà la vita e questa dà la morte, e diciamo “mamma” a quell’apparecchio?”.

Non è il tempo per tirare bilanci pastorali su riforme sofferte (da quella di Curia alla cancellazione dei decanati) e sui tentativi di “avviare dei processi” nelle tre direttrici dell’episcopato Tisi: la scelta preferenziale dei poveri, la centralità della Parola e lo sviluppo di comunità credenti attorno all’Eucaristia. Pure le cinque lettere alla diocesi scritte da don Lauro per San Vigilio sono alimentate da quella carica di entusiasmo evangelico – lo abbiamo definito “ElettroTisi” nel titolo di copertina 5 anni fa – che caratterizzano il suo servizio, apprezzato pure dalle autorità civili con cui mantiene, pur nei ruoli distinti, rapporti cordiali e collaborativi. L’ultima lettera dal titolo “#noirestiamovulnerabili” ha affrontato la condizione della fragilità e del “prendersi cura” che don Lauro ha toccato con mano nella debolezza fisica. Una prova nella quale si è sentito accompagnato e sostenuto dalla comunità. D’altra parte ci aveva chiesto in Duomo cinque anni fa : “Cara Chiesa di Trento, non dimenticarti mai di pregare per me!” Promessa rinnovata, insieme agli auguri pasquali.

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