Altro che Superlega, si badi alle diseguaglianze

I dodici club fondatori della Superlega

In un contesto che sembra appassionarsi solo alla questione della Superlega calcio (ci voleva questo per rendersi conto che ormai il calcio è impresa-spettacolo commerciale?) o alle sbruffonate di Beppe Grillo che in video urla che approfittarsi in quattro di alcune ragazze ubriache non è un crimine, ma una stupidaggine giovanile, non può stupire lo scarso interesse che riveste nei media il problema del PNRR (piano nazionale di resistenza e resilienza). Per dire la verità, sul PNRR si potrebbe ripetere quel che il Metastasio diceva dell’araba fenice: “Che ci sia ciascun lo dice/ dove sia nessun lo sa”.

Il tema non è ovviamente quello, in fondo banale, di sapere le percentuali di investimento per i vari settori e neppure quello di conoscere a grandi linee i progetti che verranno presentati. Questa roba deve passare per il parlamento e dunque alla fine qualcosa si imparerà. Si capisce anche che Draghi abbia voluto tenere argomenti così delicati lontani dai riflettori della politica spettacolo: meglio evitare le sceneggiate a vanvera come quelle sulle chiusure e aperture anti pandemia. Ci sono in ballo molti miliardi e gli appetiti delle molteplici lobby nonché delle migliaia di micro-interessi che ormai si fanno rappresentare dai partiti sono scatenati, sicché meglio tenerli il più possibile fuori della porta.

Rimane il fatto che stiamo parlando di un’impresa che, comunque vada, determinerà il futuro del paese per almeno una ventina d’anni. Innanzitutto perché dovremo farci carico di ripagare i debiti che ci metteremo sulle spalle.

Se il progetto avrà successo come cerca di fare Draghi non ci saranno problemi perché, come ha spiegato, il debito sarà ripagato dalla crescita e dunque non solo non peserà troppo sulle spalle dei nostri figli e nipoti, ma sarà anche benedetto perché ci avrà portato in un contesto migliore. Se invece, facciamo tutti gli scongiuri possibili, il progetto fosse fallimentare, perché lascerà un paese distrutto che scivolerà ai margini delle società sviluppate.

In secondo luogo però c’è anche la questione di che tipo di sviluppo vogliamo dare al paese, ed è l’assenza di dibattito su questo punto che dovrebbe preoccupare molto. Le parole d’ordine e gli slogan sono il moderno oppio dei popoli.

Non serve a nulla dire che si vuole uno sviluppo “green” se poi ci si rifugia nel sogno di tutti che andiamo in bicicletta nelle ciclovie, non produciamo più inquinamento, viviamo accarezzando orsi e lupi, e roba simile. L’equilibrio tra l’uomo e la natura è un obiettivo molto importante, anzi è stato costantemente l’obiettivo delle civiltà, ma va perseguito in maniera razionale, il che implica, come minimo, una consapevolezza diffusa degli impegni e dei tempi che impongono cambiamenti epocali.

Poi c’è il problema che diventa sempre più drammatico delle trasformazioni sociali che implicano diseguaglianze, cambiamenti di orizzonte, usura delle reti di solidarietà comunitaria (già duramente provate in questi ultimi decenni). Anche in questo caso è utopistico pensare che si possa risolvere tutto imponendo allo Stato di tutelare i cittadini nel senso di tenerli nelle condizioni in cui vivevano quando si era… in un altro mondo. I partiti, se queste organizzazioni hanno ancora un senso, dovrebbero essere le agenzie che incentivano un serio dibattito pubblico su questo futuro in un serrato confronto fra loro.

L’opinione pubblica deve essere preparata ad affrontare un passaggio che sarà dirimente per il futuro nostro e delle prossime generazioni.

Avremo l’opportunità di contare su un cospicuo finanziamento europeo per sostenere questo sforzo (sperando che qualcosa non vada storto nell’ultima fase dei negoziati perché nell’attuale situazione della UE qualche preoccupazione resta).

Non si può immaginare che venga sprecata questa occasione perché una classe politica è incapace di abbandonare le ritualità degli antichi scontri e le pseudo ideologie che sono fiorite in questi anni confusi. Purtroppo non ci aiuta la contingenza degli scontri elettorali che si preparano con le elezioni di settembre: fanno concentrare i gruppi dirigenti sulla loro volontà di regolare i conti non solo con gli avversari, ma anche al loro interno. Quel che proprio non serve a questo paese che speriamo debba al più presto avviare la fase di ripresa post pandemia.

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