Giro d’Italia 2021 tappa 13: Nizzolo vince il Dantedì a pedali

Perché concepire una tappa del genere?

La tredicesima frazione del Giro d’Italia da Ravenna a Verona presenta 198 km di pianura. Una frazione quindi piatta che più piatta non si può.  Due traguardi volanti, uno a Ferrara e uno a Bagnolo San Vito, arrivo in Corso Porta Nuova adattissimo ai treni dei velocisti, forse l’ultimo arrivo per una volata così pulita. E allora torna prepotentemente la domanda sul perché creare queste “tappe di trasferimento“, che spesso e volentieri rischiano di annoiare, o comunque non danno lo spunto energico di altre tappe più movimentate. La risposta risale a 700 anni fa, quando a Ravenna si spegneva in esilio una delle menti più eccelse ed evolute che il mondo abbia mai conosciuto. Dante Alighieri moriva il 14 settembre 1321, lasciando ai posteri un’eredità gigante. Talmente grande che ai giorni nostri è celebrato come una delle tre corone della nostra letteratura, assieme a Boccaccio e Petrarca.

Come detto dal prof. Claudio Giunta, nel ricordare Dante, però, emergono dubbi e perplessità. In fondo viviamo in un’epoca dove la Commedia (forse l’opera dell’Alighieri più conosciuta e più studiata al mondo) non parla ai nostri lettori, come lo poteva fare ai tempi. Oggi può sembrare un’opera distante, astrusa e molto spesso pesante. La affrontiamo tra i banchi di scuola, o all’università, in maniera pedante. Portati a sbattere la testa tra quei versi, per impararne il significato e per strappare un voto agognato. Eppure le parole di Dante, se conosciute, capite, comprese e studiate, non sono così distanti. La costruzione del verso dantesco non risulta essere vecchia e logora, ma brilla di luce propria alla stessa stregua di un’opera d’arte. I versi danteschi racchiudono in poche righe un sapere enciclopedico unico nel suo genere. Una sintesi prodigiosa alla quale difficilmente possiamo rimanere insensibili. Le parole di Ulisse ai suoi compagni, infatti, risplendono di fiamma viva e ancora oggi la nostra sete di conoscenza ci spinge verso nuovi limiti. Leggere e conoscere Dante, quindi, significa impadronirsi non soltanto di un racconto che parla di noi, ma anche dell’emozione di circa due millenni di letteratura, di storia e di cultura filtrata da una mente sola.

E così, anche la tappa di oggi si può leggere come celebrazione viva della nostra cultura e della nostra storia, perché in fondo il ciclismo e il Giro d’Italia, spesso, rappresentano un mezzo per riscoprirle, riscoprendo le nostre origini. Allora grazie per questo Dantedì a pedali, e grazie alle emozioni vissute.

Tanto di cappello, perciò, per i 191 km di fuga di Samuele Rivi (trentino di Mezzolombardo), Marengo e Pellaud. Una volta riassorbiti nella pancia del gruppo, i treni dei velocisti prendono in mano la situazione. Nell’ultimo chilometro la Jumbo Visma predispone il terreno per l’attacco di Edoardo Affini. Il mantovano anticipa tutti, ma non fa i conti con le ruote veloci della Qhubeka Assos che letteralmente lancia il suo capitano, Giacomo Nizzolo. Il campione italiano ed europeo, come un razzo, va finalmente a trionfare sotto il traguardo di Verona. Terzo posto invece per Peter Sagan che mantiene la maglia ciclamino sulle sue spalle. Maglia rosa ancora a Egan Bernal, ma attenzione a domani, quando si scalerà l’inferno dello Zoncolan. Mai come oggi le parole di Dante risuonano un monito forte e potente per la prossima tappa: “Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate…”

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