Brasile: che disastro, Bolsonaro

Il presidente Bolsonaro il 27 ottobre scorso alla celebrazione dei 106 anni dell’Assemblea di Dio, movimento pentecostale, a Manaus – foto Isac Nóbrega/PR

Il grosso problema del Brasile che si avvia alle elezioni presidenziali del prossimo anno non è tanto Bolsonaro (la sua fine politica sembra segnata da una caterva di errori gravissimi, a cominciare da come ha affrontato la pandemia) ma il bolsonarismo, l’area politica e sociale che lo vede come diretto riferimento e per ora lo supporta, pronta a cambiare cavallo se il cavallo dovesse rivelarsi bolso. Vertici militari, qualche migliaio di persone che si sono arricchite in questi anni; mass media privati controllati da poche famiglie che si contano sulle dita di una mano che hanno un’enorme influenza sull’opinione pubblica meno consapevole e che continuano a sfornare ad arte false notizie; le Chiese evangeliche che in Brasile costituiscono un’area molto influente che si è dilatata in modo spropositato.

Sono queste le basi sociali e culturali del lascito di Bolsonaro, un misto di irrazionalità e interessi economici consolidati contro cui non sarà facile battersi per affermare una società un po’ – almeno solo un po’ – più giusta.

È ben vero che nella media dei sondaggi unanimemente Lula galoppa raddoppiando i consensi di “O Capitao”, come ama farsi chiamare Bolsonaro, ma è altrettanto vero che colpi di coda sono sempre da mettere in conto, compreso un possibile golpe militare come era successo all’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso. Scommettere sulla lealtà dei vertici delle Forze armate è un azzardo. Nella recente storia sudamericana i militari si sono rivelati banderuole sollecite al vento della reazione degli interessi di pochissimi, non certo del cambiamento a favore delle grandi maggioranze oppresse.

La Commissione parlamentare d’inchiesta sul Covid ha da poco terminato il suo lavoro d’indagine sulle responsabilità politiche nei mesi più cruenti della pandemia e il presidente Bolsonaro, tre suoi figli e numerosi ministri sono nel mirino per un disastro che ha ucciso oltre 600 mila brasiliani. Con l’Amazzonia usata come laboratorio per la sperimentazione di terapie insulse e del tutto prive di un contesto scientifico; Manaus lasciata colpevolmente senza bombole di ossigeno con i malati che morivano di asfissia, una pesantissima accusa di genocidio per cui “è chiaro il nesso causale tra l’anti indigenismo del presidente e i danni sofferti dai popoli originari”. Proprio per questo Bolsonaro è stato contestato nel fine settimana ad Anguillara, dove ha ricevuto la cittadinanza onoraria in virtù delle origini padovane dei suoi avi, e a Padova.

Ma è l’insieme della società brasiliana più esposta ai venti della crisi che nel 2021 si è ritrovata più impoverita che mai: più di 125 milioni di brasiliani, pari al 58% della popolazione, si trovano in condizioni di insicurezza alimentare con almeno 20 milioni che hanno problemi come soffrire per la fame.

Un’eredità che Lula dovrà giocoforza sobbarcarsi, cercando di non ripetere gli errori compiuti, pur nel mezzo di tante cose buone che la sua Amministrazione aveva compiuto.

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