Bolsonaro, tempo scaduto?

Brasile in subbuglio, invaso da un’ondata di contagi e morti per coronavirus senza precedenti, con una politica sanitaria pervicacemente dissennata, e da uno sdegno che si intensifica e si propaga sempre più nei confronti del presidente Jair Bolsonaro che persino l’establishment che finora l’ha sostenuto a prescindere ora è pronto a mollarlo nell’interesse dei privilegi consolidati delle fortissime classi dominanti (banchieri, impresari, proprietari terrieri).

Si fatica a tenere il numero dei ministri della Sanità sostituiti e di recente addirittura i vertici delle forze armate, esercito, marina e aeronautica, hanno dato forfait. Era dal 1977 che la troika militare non mandava un segnale inequivoco e al contempo ambiguo: è notorio infatti che esiste una turma da farda, militari in divisa, e una turma do pijama, quelli in pigiama, più ossequiosi con Bolsonaro. I primi non scherzano affatto e hanno voluto celebrare con crismi solenni l’anniversario del colpo di stato avvenuto il 31 marzo 1964: larvata avvertenza e premonizione?
Per non dire della serie di richieste di impeachment che gravano sulla testa del pervicace negazionista (continua a girare senza mascherina, incita i suoi a fare altrettanto).

La sensazione è che il tempo di Bolsonaro sia arrivato al suo scadere; a parte gli elettori iper-conservatori (i gruppi neo evangelici sono numerosi, forti e fanatici da non credere), molti dei quali apertamente fascisti e razzisti, è il centrao (il centro) del Congresso nazionale che non lo sopporta più e la stessa bancada ruralista, il settore potente e influente dell’agrobusiness, auspica un cambiamento (apertamente di tipo gattopardesco, ovvio: cambi tutto il vertice purché non abbiano a mutare per niente le politiche di accaparramento e concentrazione della ricchezza nazionale). E qui dal Paese “legale” conviene passare a qualche considerazione sul Paese “reale”, quel che nell’analisi più preme.

In forte ripresa economica fino ad un anno fa (ma più di un economista aveva parlato di voo de galinha, volo di gallina, per dire dell’inconsistenza di una crescita che faceva perno su un forte sfruttamento e mancanza di tutele per i lavoratori), la pandemia ha retrocesso e prostrato il tenore di vita delle classi popolari.

Il forte calo del prodotto interno; una disoccupazione veemente; il calo brusco della domanda di beni e servizi; alcuni milioni di famiglie si sono ritrovate rigettate sotto la soglia della povertà assoluta. A poco o nulla è valso il sussidio di 600 reais (cento euro) quando i prezzi aumentavano principalmente per motivi speculativi colpendo i beni di prima necessità, creando un forte malcontento e moltiplicando a dismisura la microcriminalità dovuta a mere necessità di sopravvivenza.

La riabilitazione giudiziaria e conseguentemente politica di Luiz Inacio Lula da Silva, l’ex presidente estromesso in modo surrettizio e fraudolento da un giudice riconosciuto ex post fin troppo parziale (quel Sergio Moro, poi ricompensato con la carica di ministro di Giustizia), rimette ali alla speranza di un cambiamento effettivo già in occasione delle presidenziali del prossimo anno (anche se vien da chiedersi perché una classe politica progressista non sia in grado di esprimere nuovi e giovani leaders).

Lula e poi Dilma Rousseff avranno avuto i loro difetti ma non si può dire che dalle loro politiche complessive (economica, fiscale, sociale, scolastica) non ne abbia tratto vantaggio il Brasile più impoverito e dimenticato arrivando a perseguire concretamente una maggiore giustizia sociale – un serio tentativo di redistribuzione del prodotto nazionale – in un contesto di ricchezze spropositate che per sprechi e sfoggi gridano vendetta al cielo e di indigenze dilatate e dolenti che colpiscono bambine e bambini senza cura ed educazione; donne sole, lasciate sole, pure se lottano come leonesse e reggono famiglie allargate ed anziani; indigeni perseguitati fino alla sparizione; lavoratori del campo e di fabbrica, considerati, per diritti e tutele, l’ultima ruota del carro quando invece son coloro che il carro – la produzione e il reddito nazionale – lo fanno andare avanti.

Rebus sic stantibus, l’ormai anziano ex operaio metalmeccanico è ancora l’unico a suscitare entusiasmo in masse impoverite, disorientate e smagate, dunque una speranza consistente. E già un orizzonte speranzoso è tanta sostanza e possibile realtà prossima nel Brasile devastato di oggi.

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