Le biografie di comunità lasciano tracce durature

Pare un genere letterario sempre più vivace il racconto di storie personali e collettive: quasi un’esigenza di ritrovarsi insieme, autori e lettori.

Sono sempre più frequenti i libri che raccontano persone, prima ancora che storie, biografie o percorsi autobiografici, diari personali, memorie familiari.
Sono voci che si liberano da lunghi silenzi d’oblio, ripulite dal frastuono mediatico della quotidianità. Si propongono non per nostalgia verso il “mondo di ieri”, ma quasi come tasselli di realtà da recuperare, per ricomporle e riscattarle dalle tante violenze ambientali subite e dalle tragedie umanitarie del “secolo breve”, che si stanno prolungando anche nel Duemila. Viene da chiedersi che significato abbia questa esplorazione biografica, che pare quasi un genere letterario: per il marchio di Vita Trentina editrice è appena uscita la biografia di Piergiorgio Cattani di Paolo Ghezzi, è in preparazione quella del grande alpinista Armando Aste di Maurizio Gentilini e verrà presentato questo venerdì a Trento “Fatti di Vangelo in PANDEMIA”, di Luigi Accattoli e Ciro Fusco. Ultimi due esempi: le “Memorie” di don Tommaso Stenico donato ai compaesani di Telve o “Palù di Giovo: le mie radici” che padre Carlo Paolazzi presenta sabato 20 novembre con Vita Trentina nel suo paese.

È una prospettiva che non raccoglie solo “memorie personali”, ma nasce da un’esigenza di comunità, di ritrovarsi ancora insieme, autori e lettori, a condividere esperienze e ideali, attese e fatiche, per evitare di finire tutti ammucchiati e smarriti in un’unica confusa “rete”.

C’è forse la consapevolezza che il tempo non è una linea imprevedibile che fugge nell’ignoto, ma una realtà in continuo divenire, che si costruisce con i pezzi di vita e le tracce che ognuno lascia dietro di sé nella “sua” vita. C’è fede negli uomini e nelle donne in queste testimonianze, che assomigliano un po’ a quei sassolini che Pollicino lasciava nel bosco oscuro per non venirne inghiottito. Anche la vita rischia di inghiottire chi la percorre se manca una traccia da seguire.

La più recente “traccia” editoriale, su questo percorso, viene da “Voci della montagna” di Paola Gabrielli, pubblicato da “Nuovi Sentieri”, la casa editrice di Bepi Pellegrinon, alpinista e uomo di montagna di Falcade, nel Bellunese.

Copertina del libro “Voci dalla Montagna” di Paola Gabrielli. Disegno di Livinallongo

“Voci della montagna” è un libro complesso nella sua struttura, ma chiarissimo nella sua impostazione e nelle storie che racconta. È anche emblematico del momento storico che la realtà della regione dolomitica e ladina (dal Fodom, Livinallongo, al Brenta, val di Non) attraversa, perché lega in un unico filo persone e luoghi lungo un secolo intero, con le vicende e i mutamenti che si sono imposti. Vi si trovano diari di guerra e giochi di ragazzi, le radici del vecchio mondo contadino e le lacerazioni tecnologiche, le bellezze della natura e le promozioni umane portate dalla scuola, dalla cultura, dall’arte. É un mosaico di racconti dell’epopea ladina e dolomitica attorno ad una famiglia.

Paola Gabrielli è donna attenta e sensibile, professoressa di liceo e scrittrice già affermata. È nata e cresciuta a Cles, dove insegna, perché il padre lì era di servizio nell’Arma dei Carabinieri, ma la famiglia proviene dal Fodom ladino e il nonno era Kaserjaeger nell’esercito asburgico. Dà forza e prospettiva al libro aprirsi con due diari e chiudersi con altrettante riflessioni, per così dire “parallele”. I diari sono sulla Grande Guerra e sulle tappe di vita dell’autrice, le riflessioni sulla nuova guerra mondiale del Covid e sulla Scuola, che i conflitti ricompone. Un contrappunto. La guerra trascina nelle sue durezze (richiamato il 2 agosto 1914, subito inviato in Galizia) il nonno Silvestro, mentre la pandemia (“Cronache di un paese al coprifuoco”) porta l’autrice a vedere nella scuola la matrice e la speranza del futuro (“Cari genitori, lettera di una professoressa”). Nel mezzo ci sono altre storie, l’ “altra guerra” con i diari dello zio Guido, e dello zio Frido, con i personaggi, gli incontri, la malattia, la guarigione, la pioggia, un viaggio … quasi un calendario scolastico di momenti ed esperienze che dà profonda unità non solo ad una vita, ma al territorio che racconta: nel cuore d’Europa, fra Trento, Bolzano e Belluno, la nostra terra. Il nostro passato e il nostro futuro.

La scrittrice lascia uno spunto per interessare i lettori: “Dedico queste pagine, fra le voci della montagna, all’essere Donna di Montagna. In particolare le dedico alla mia nonna Epifania, nata il 5 gennaio del 1908. Fin da piccola passavo le estati nella casa della nonna a Moè, frazione di Laste di Rocca Pietore, a 1500 metri nelle Dolomiti Bellunesi. Luglio e agosto in quota, prima dell’inizio della scuola. Come la roccia la donna di montagna è salda nelle sue convinzioni e non vacilla di fronte alle prove della vita. Non cede ai compromessi e trova sempre una via nelle difficoltà. Se lascia andare alcune rocce è solo per alleggerirsi di pesi inutili, che non le appartengono più. Conosce il freddo dell’inverno, che si ripresenta nelle diverse stagioni della vita, ma il suo nucleo è caldo. (….) É come la montagna, gli scalatori esperti ne vedono la sfida e il valore. É per chi sa giungere dove c’è sempre il sole, dove nelle giornate terse di settembre si riscopre nel silenzio l’anima del mondo.”

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