Nel sì di Mattarella c’è il monito di Moro

Ci eravamo sentiti, prima della rielezione, la sera di mercoledì 19 gennaio per un breve saluto, non aveva mai preso in considerazione la possibilità di rimanere. Mattarella su questo punto è sempre stato determinato e quella sera non abbiamo fatto alcun cenno a tale ipotesi. Aveva altri progetti.

Le cose, invece, sono andate diversamente. Molto diversamente. Così il pensiero corre alle parole di Aldo Moro, costante punto di riferimento per Sergio Mattarella, quando nel febbraio del 1978 disse ai gruppi parlamentari della Dc: “Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere”. Parole che tornano a essere di grande attualità. Non ha potuto e voluto dire no alla richiesta del Parlamento, non certo dei leader dei partiti, tanto che al Quirinale sono saliti solo i rappresentanti dei gruppi per chiedergli la disponibilità a rimanere. Eppure Mattarella in più occasioni aveva detto che riteneva la possibilità di una rielezione, uno sbaglio, un vulnus nell’impianto costituzionale. Un vulnus che, già il 3 maggio del 2006, Carlo Azeglio Ciampi aveva anticipato: “Nessuno dei precedenti nove Presidenti della Repubblica è stato rieletto. Ritengo che questa sia diventata una consuetudine significativa. È bene non infrangerla. A mio avviso, il rinnovo di un mandato lungo, mal si confà alle caratteristiche proprie della forma repubblicana del nostro Stato”.

Mattarella, fine giurista, la pensa allo stesso modo. Proprio per questo non è stato facile per lui venir meno, soprattutto dopo l’esperienza di Napolitano, a un’attenta interpretazione del dettato costituzionale. Anche sul piano strettamente personale sarebbe stato meglio per lui tornare a una vita normale tra i banchi del Senato. Nonostante queste considerazioni Mattarella, di fronte alla richiesta del Parlamento che, tra le tante motivazioni, ha saputo farsi carico anche del sentire dell’opinione pubblica, ha ritenuto di non venir meno a un suo dovere. È stato un segnale forte, proprio sulla scia del monito di Moro. Nel corso degli anni si è guadagnato con il suo modo di fare, con la sua sobrietà e intelligenza, la fiducia di gran parte degli italiani e nel momento di grave difficoltà non si è tirato indietro. Lo ha fatto per salvare l’Italia da una crisi ingestibile, dolorosa e soprattutto pericolosa. Ecco l’importanza di questa testimonianza.

Come non raffrontare il suo sacrificio personale con la leggerezza con cui i partiti accompagnano questa sua difficile scelta. Applaudono, ma per chi? Per loro stessi? Per aver scampato il pericolo di un’elezione anticipata? Il Presidente è, comunque, il primo a sapere che adesso sarà ancora più difficile, bisogna gestire un periodo di grandi cambiamenti su tutti i fronti e lo si deve fare con una classe politica sempre più spappolata. Sa bene che la confusione, l’arroganza e le pretese delle forze politiche non aiuteranno. Rimane solo la speranza che grazie al suo esempio ci sia nel Paese, nel suo insieme, un sussulto di responsabilità, un consapevole farsi carico dei problemi e una voglia di attuare quelle riforme più volte annunciate e poi sempre, per interessi di parte, rinviate. Mattarella ha indicato una strada. Ora bisogna vedere e capire quanti seguiranno il suo percorso. Certo, dopo il caos di queste settimane dovrà rimettere insieme i cocci che sono stati disseminati. Soprattutto avrà l’immane compito di richiamare l’attenzione di tutti su quanto sia fondamentale per un Paese avere una classe politica che esprima una cultura politica. È proprio questo che manca oggi.

Di là della vuota e continua corsa ad apparire non c’è più nulla. Non c’è un’idea di bene comune, una regia, una competenza. Mattarella, al contrario, è una delle espressioni più rilevanti di quel cattolicesimo democratico che molto ha dato alla costruzione dell’Italia e anche all’Europa. Ricordiamo anche la recente scomparsa di David Sassoli. Persone serie, galantuomini che hanno conosciuto e conoscono la politica, la Costituzione e, soprattutto, “testimoni” di una cultura politica che può essere un solido punto di riferimento in questo tempo sospeso.

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