La situazione internazionale “sfida” il governo Meloni

Chi ha pratica del dibattito storiografico sa che ci fu una questione circa ciò che prevaleva nella valutazione delle classi dirigenti europee fra Ottocento e Novecento. Si tratta della diatriba sulla preminenza della politica estera o di quella interna nell’orientare le decisioni dei governi. Lasciando perdere la scontata soluzione salomonica, sono importanti tutte e due e sono interdipendenti, vale la pena di ritornare su questi temi nella contingenza attuale.

È al governo una destra che quand’era all’opposizione ha agitato la bandiera contro la globalizzazione che distraeva dal concentrarsi sui problemi interni, per cui aveva una posizione che si definiva sovranista. Oggi che ha cambiato ruolo (non tutta, ma almeno alcune componenti) si trova a confrontarsi con un prepotente ritorno della dimensione internazionale ed a scoprire che questa incide decisamente su ogni politica “interna”. La guerra in Ucraina, la ripresa della tensione nel Medio Oriente, il problema dei flussi migratori generati dalle situazioni di instabilità in una vasta area afro-asiatica, le tensioni con la Cina, sono tutti fattori che si sono riverberati in maniera molto significativa sull’organizzazione dell’economia europea di cui l’Italia fa parte integrante.

Il tema centrale è proprio quest’ultimo, che trova oggi declinazione nel dibattito sul ruolo che potrebbe o dovrebbe avere l’Unione Europea a fronte di questa situazione piuttosto preoccupante. Si discute ora sulla questione di creare uno strumento comunitario di intervento economico per sostenere la crisi del sistema produttivo europeo. Gli si dà il nome evocativo di fondo sovrano europeo, ma per finanziarlo sembra non esserci altra via che tornare a fare debito comune fra gli stati che compongono la UE.

Qui si apre il problema per il nostro governo, anzi più in generale per il nostro sistema politico, perché esso riguarda anche l’opposizione se questa, anziché baloccarsi fra ideologie astratte e piccolo cabotaggio di personaggi in cerca di visibilità, tenesse conto che la tenuta del sistema riguarda anche lei come dovere verso la difesa del bene comune, ma anche, più prosaicamente, nella prospettiva di un suo ritorno al governo (governare sulle macerie dovrebbe essere poco allettante).

L’ipotizzato piano europeo, pur pudicamente presentato come introduzione di sostegni alle industrie “green” in vista del miglioramento ambientale, propone in sostanza un via libera a quegli “aiuti di stato” all’economia che la passata ideologia mercatista della UE vedeva come il fumo negli occhi. La questione è che se tutti o quasi sono concordi nel riavere le mani libere per sovvenzionare le loro industrie, ci si divide fra chi vuole che questo sia un compito da lasciare a ciascuno stato con le sue risorse e chi sostiene invece che ci debbano essere incentivi da pescare in fondi comunitari. La spiegazione di questa contrapposizione è banale. Gli stati in buona salute finanziaria, Germania in testa, vogliono avere mano libera per intervenire sui propri sistemi economici che hanno più di un problema di crisi e non vedono perché debbano favorire con interventi comunitari la ripresa concorrenziale di stati “cicala” in grado così di erodere le possibilità di espansione delle loro industrie che sarebbero favorite anche dalle difficoltà delle altre.

Il fatto è che l’Italia si trova, come è facile capire, sull’altro fronte, perché ha scarsità di risorse proprie da dedicare al sostegno al suo sistema produttivo (quelle che ha le ha già impegnate tutte con escamotage vari senza ottenere grandi risultati). Per noi dunque sarebbe essenziale poter trovare sostegni nel cosiddetto nuovo fondo sovrano europeo, ma i nostri partner non sono molto disponibili e ci rinfacciano, più o meno velatamente, che non stiamo riuscendo neppure a far buon uso dei fondi del Next Generation UE, come dimostra lo stato non brillante di gestione del nostro PNRR.

A questo punto diventa essenziale che l’Italia mantenga e possibilmente rafforzi la sua posizione all’interno del contesto sia occidentale che atlantico, perché così può presentarsi come un soggetto che vuole crescere ma nel quadro e nell’interesse del sistema di relazioni/contrapposizioni internazionali quale oggi si impone.

Per raggiungere questo obiettivo è però essenziale che il sistema politico italiano si presenti come stabile e questo è reso complicato dal peso di componenti, forze e lobby troppo interessate a guardarsi l’ombelico pur nascondendo questo vezzo con il rinvio alle solite bandierine di moda.

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