Mori, i laboratori linguistici per donne di origine straniera sono un successo

Una lezione di italiano a Mori

Capire meglio le indicazioni del medico, dialogare con i professori alle udienze, essere allo stesso livello dei figli quando a casa si parla con loro in italiano, ordinare un caffè. Uscire e vivere il paese, la comunità. Sono diversi i motivi che spingono a mettersi in gioco e imparare un idioma sconosciuto o, comunque, ancora poco familiare. A Mori, evidentemente, voglia e motivazione non mancano, dato che ai corsi di lingua rivolti alle donne (uno a livello iniziale, l’altro più avanzato), partiti nell’aprile del 2022 e tuttora in corso, si sono iscritte in una cinquantina, di dodici nazionalità diverse.

Meglio chiamarli laboratori, un qualcosa quindi che si “costruisce insieme, dinamico e in divenire”, sottolineano i promotori del progetto che si regge grazie alle ore regalate dai volontari e dalle volontarie ed è promosso da tanti soggetti che compongono la variegata realtà associativa del paese: il Caam, Cordinamento attività di accoglienza, l’Arci come capofila per l’ottenimento dei finanziamenti e la loro gestione amministrativa, Mandacarù, Noi Oratorio, il CedAs della Caritas, la parrocchia di Mori e Besagno, l’UP Val di Gresta e l’APPM di Mori, che mette a disposizione gli spazi che ora ospitano i corsi, ora a Casa Dal Rì, prima in oratorio.

DUE LABORATORI, UN INCONTRO SETTIMANALE

Grazie al finanziamento di Comune, Cassa Rurale, associazione Buddista di Manzano e anche di alcuni privati, sono state avviate le prime due fasi del laboratorio, da aprile a giugno 2022 e da settembre allo scorso 14 dicembre, con anche alcune uscite sul territorio. Una terza fase (grazie a un finanziamento di Fondazione Caritro) è in corso, mentre una quarta si potrà attuare da marzo per altri due mesi.

A fare da facilitatrice è l’insegnante Chiara Montanari. “Sono due ore alla settimana che vanno al di là della didattica, perché le partecipanti hanno saputo creare tra loro una bella alchimia. È diventato un momento di confronto tra donne, non c’entra la nazionalità, non esistono confini, siamo tutte alla pari”, osserva Montanari, esperta in apprendimento della lingua italiana da parte di stranieri, che ha lavorato anche al campo profughi di Marco. “Sono nate amicizie, si sono create delle reti e l’italiano è diventato un mezzo, uno strumento per dare una voce a chi non ne ha. E anche per aumentare la propria autostima”.

Ad affiancarla un gruppo di volontarie e un volontario che partecipano stabilmente agli incontri, mettendosi a disposizione laddove c’è più bisogno. “Nel corso base, in questo momento, vi sono due donne totalmente analfabete nella loro lingua d’origine ed in questi casi è utile un lavoro a tu per tu”, riprende Montanari. “Nel gruppo avanzato, invece, c’è stata la richiesta di fare qualche ora in più e allora i volontari si sono offerti per andare incontro a questo bisogno”.

Anche la conoscenza di quello che succede sul territorio è importante

ESIGENZA CHE VIENE ANCHE DAL TERRITORIO

L’aspetto didattico non esula dal contesto. Anzi. Si vogliono fornire strumenti concreti per affrontare la vita di tutti i giorni. “Un’iniziativa nata anche da diverse esigenze che avevamo raccolto sul territorio, dall’insegnante all’assistente sociale, al medico: la conoscenza dell’italiano nasce come un bisogno ma si trasforma poi in integrazione”, spiega Rita Passerini che si occupa della segreteria e del coordinamento dei volontari. “Veniamo in contatto con tante persone che arrivano in paese magari a seguito di ricongiungimenti familiari, e tra i primi bisogni c’è proprio quello della lingua per creare poi conoscenza del territorio”, conferma l’insegnante in pensione Roberta Vicenzi, referente CedAs Caritas di Mori, osservatorio privilegiato sulla realtà locale. “Un bisogno reciproco a cui abbiamo cercato di rispondere, creando una rete per dare continuità al progetto”.

SUI BANCHI ASSIEME AI FIGLI

I corsi sono al mattino, le partecipanti hanno dai ventuno ai sessantasette anni, ma la maggior parte sono mamme giovani e quasi tutte non lavorano. “Durante la fase di progettazione, era emersa la richiesta di pensare a uno spazio che potesse accogliere i bambini più piccoli che ancora non vanno a scuola, o per rispondere alle diverse esigenze quotidiane”, spiega Lucia Girardelli, anche a nome delle altre quattro volontarie che garantiscono il servizio di custodia. “È uno spazio sia psicologico, sia fisico: non è un nido o una scuola dell’infanzia ma è qualcosa che dà alle mamme maggiore tranquillità perché i più piccoli sono nella stanza accanto e possono raggiungerle quando vogliono. È una bella esperienza, qualcosa di nuovo e di valore”, aggiunge Girardelli.

“VOGLIO CHE LE PAROLE ESCANO SENZA PENSARE

La frequenza, per buona parte delle partecipanti, è assidua. “Inizialmente non ci aspettavamo certo una presenza così massiccia. Ha certamente pesato il fatto che questi laboratori sono organizzati in paese. E questo favorisce la partecipazione. Alla base c’è comunque una grandissima motivazione personale”, sottolinea la volontaria Anita Cescatti. Una delle iscritte è Laila, marocchina d’origine, 47 anni e due figli, in Italia dal 2003: “Ho saputo del corso da una mia vicina – racconta – e mi sono detta, ‘proviamoci’. Sono tornata a casa che ero letteralmente fuori di testa dalla gioia. Perché quando parlo con i miei figli loro mi dicono ‘questo non è italiano’. Prima ero io a insegnare a loro, adesso mi correggono. E allora voglio mettercela tutta per imparare a parlare l’italiano perfettamente: voglio che le parole escano senza pensare, voglio che i miei ragazzi siano fieri della loro mamma”.

SI “INSEGNA” ANCHE IL VOLONTARIATO
“La conoscenza aiuta … a conoscere. Penso che la presenza di queste donne al corso d’italiano serva innanzitutto a loro stesse ma anche ai loro figli e a tutta la comunità. Perché da cosa nasce cosa e l’ascensore sociale funziona se anche i genitori riescono ad aiutare i loro figli, prima di tutto nel loro percorso scolastico”, spiega Roberto Calliari, ex sindaco e assessore, referente del Caam. L’andamento demografico della popolazione di Mori, sesto comune del Trentino con i suoi oltre 10mila abitanti, ha fatto registrare il segno più anche quest’anno: i bambini con genitori di origine straniera rappresentano ormai il 30% dei nuovi nati. “Sono numeri che ci devono far riflettere, perché non si può più soltanto inserire, ma bisogna integrare davvero, senza ulteriori ritardi. E mettere le donne in condizione di saper comunicare è un primo passo”, aggiunge Fabrizio Barozzi, una vita da insegnante e referente dell’ARCI per questo progetto. “Il volontariato che tiene in piedi tutta questa esperienza si alimenta nella comunità ed è evidente che non possiamo tenere estranee tutte queste grandi e numerose famiglie di origine straniera da questa nostra dimensione, che affonda le sue radici nella nostra storia. L’obiettivo, è quello di poter contare su di loro ‘per il dopo’: potranno essere queste donne o i loro figli a insegnare a chi ne avrà bisogno – conclude Barozzi – diventando nuovi punti di riferimento per la comunità”.

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