Le bandierine elettorali della Lega intrappolano il Governo

Giorgia Meloni. Foto Presidenza del Consiglio dei ministri

È uno strano momento per la nostra vita politica: da un lato ci sarebbero le ragioni per essere soddisfatti di un trend positivo, dall’altro c’è un aggrovigliarsi di tensioni politiche e sociali. La capacità dei partiti di tenere sotto controllo la situazione è molto limitata, anzi per lo più tendono ad esasperarla.

Innanzitutto ci sono i dati economici confortanti. Andiamo meglio di Germania e Francia e un po’ anche della Spagna, l’occupazione cresce riducendo molto la sacca dei senza lavoro, l’export va bene, il turismo fa cifre da record. La premier Meloni ha rivendicato questi successi alla riunione di Assolombarda sapendo di non poter essere smentita, anche se è eccessivo attribuire tutto al lavoro del suo governo il cui merito principale, che senz’altro non è poco, è di avere tranquillizzato i mercati interni e internazionali con una politica che si è tenuta lontana dalle fantasie della propaganda elettorale.

Non è tutto oro, perché siamo sempre alle prese con una inflazione più alta di quella degli altri paesi. Non è colpa degli aumenti dei costi di carburanti, energia e quant’altro, piuttosto nasce dalla volontà perversa in molti attori economici di rifarsi di quel che non si è guadagnato negli anni della pandemia. L’aumento delle tariffe dei voli risulta emblematico, ma è solo la punta di un iceberg. Qui il governo potrebbe pure far qualcosa, ma è frenato dalle sue remore a sostegno di tutte le corporazioni possibili e immaginabili: difficile intervenire in queste circostanze per di più con la preoccupazione che le corporazioni si rivolgano ai suoi avversari.

Scontiamo anche le tensioni per l’intrappolamento del governo nelle bandierine elettorali della Lega: dalla commissione di studio per l’autonomia differenziata alle regioni si sono dimessi Amato e Bassanini per l’impossibilità di affrontare seriamente il tema quando si vuole solo arrivare a far passare uno slogan senza darsi pena dei contenuti. Anche questa è la punta di un iceberg, perché ci sono questioni ben più complesse.

La pretesa di Salvini di costringere i suoi alleati ad impegnarsi a coinvolgerlo assieme ai suoi amici di estrema destra Le Pen e AfD nei nuovi equilibri europei post-elezioni è servita solo a far confusione. Tutti coloro che conoscono la situazione sanno che è una richiesta irricevibile a cominciare dal PPE (e infatti Tajani che ne è vice presidente ha subito dato lo stop), ma lo sa anche Salvini che punta solo a recuperare spazi demagogici per fare un po’ di argine a FdI che gli porta via consensi. Roba marginale, non fosse che questo ci indebolisce sul delicato terreno internazionale, cosa di cui proprio in questo momento non abbiamo bisogno. Ma quello che una volta era chiamato il “Capitano” di politica internazionale ha sempre capito pochino.

La situazione a Bruxelles non è semplice con le manovre di molti a garantirsi le attuali posizioni, a cominciare dalla presidente von der Leyen che punta chiaramente al rinnovo del mandato e che pertanto si muove il meno possibile e a zig zag. L’Italia paga queste turbolenze nel rinnovato acume con cui gli alti funzionari esaminano la nostra performance sul PNRR dove, viste anche le nostre debolezze sul piano organizzativo e progettuale, è abbastanza facile trovare qualcosa che non quadra: prima possono essere i nuovi posti letto per gli universitari, poi l’aumento dei posti negli asili che devono essere creati in strutture nuove e non ottenuti ampliando quelle esistenti. È un giochetto che temiamo possa essere replicato senza grandi difficoltà.

Ci sarebbe bisogno di un poco di coesione nazionale, ma per questa non ci sono grandi volontà. Le opposizioni pensano ad approfittare delle nostre debolezze imputandole semplicemente al governo e per converso la maggioranza non ha nessuna intenzione di razionalizzare uno spoil system selvaggio nel controllo di quello che una volta si chiamava il para-stato (termine oggi aborrito e tecnicamente improponibile, non fosse che nella realtà siamo più o meno sempre lì).

Ci vorrebbe quel che non c’è: una forte spinta dell’opinione pubblica che costringesse i partiti a prendere atto che la gente è stufa di questo modo di fare politica. Non la si realizza rifugiandosi nell’astensione, ma scegliendo con oculatezza non solo la forza politica da appoggiare, ma le persone all’interno di ciascuna forza che meritano il rispetto dei cittadini. Difficile da fare con il sistema vigente di selezione della classe politica, ma bisognerebbe provarci.

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