Il pasticcio della rincorsa alle “identità”: così la politica italiana si avvita su se stessa

Giorgia Meloni. Foto Presidenza del Consiglio dei ministri

Per una malsana ricerca dell’affermazione di una cosa che non si capisce bene cosa sia, ma che viene definita come “identità”, la politica italiana si sta avvitando su se stessa creando rischi notevoli per la tenuta del paese. Da un lato c’è l’ossessione sulle sponde governative di affermare con gesti eclatanti cosa significa la cosiddetta svolta a destra dell’equilibrio politico italiano. Sul versante opposto ci sono i posizionamenti di Conte (M5S come partito è piuttosto inesistente) e quelli caotici del PD alla ricerca di bandierine da  piantare per segnare territori piuttosto sfrangiati. Al governo c’è una coalizione e ciò significa, secondo un costume costante nella nostra storia (si può risalire fino al centrismo degasperiano), una competizione continua fra i partiti “minori” e quello di gran lunga più consistente, all’interno del quale per di più ci sono competizioni se non fra correnti fra personalità che vorrebbero il diritto al loro pezzo di palcoscenico. Ciò genera una partenza confusa dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, che da un lato deve proseguire sulla linea di salute finanziaria ed economica impostata da Draghi e dall’altro per far vedere la “novità” si butta in spericolate operazioni di bandiera che servono solo a dare spazio ai demagoghi alla Salvini.

Le conseguenze di questa rincorsa alla sceneggiata sul tema dei migranti la si è vista nelle tensioni con la Francia, generate non dalla comprensibile esigenza di regolamentare in qualche modo lo scarico sulle nostre coste di persone che vogliono raggiungere l’Europa e vengono fatte passare per “naufraghi”, ma dalle esternazioni barricadiere sul cosiddetto sovranismo. Diciamo che accusare di mancanza di umanità un paese come il nostro la cui marina salva quotidianamente centinaia di persone facendole sbarcare a terra, solo perché chiede a certe ONG di non agire come fossero soggetti indipendenti da tutto, è piuttosto ridicolo. È altrettanto evidente che molti paesi europei, a partire dalla Francia, scaricano le loro tensioni interne partecipando al cinico gioco del propagandare il buonismo a spese degli altri, mentre a casa loro si comportano ben diversamente. Resta però che l’Italia deve essere consapevole della delicatezza della situazione ed evitare di cadere nella trappola che le viene tesa a livello europeo. Qui infatti siamo in presenza di una crisi di leadership a livello UE.

La presenza di Draghi con la sua autorevolezza personale aveva reso l’Italia protagonista a scapito di altri appetiti. Ora a chi aveva perso posizioni non par vero di approfittare della leggenda nera sull’estrema destra tornata al potere in Italia per spingere il nostro paese in una posizione di marginalità. Fa tutto parte delle dinamiche presenti in una confederazione piuttosto incerta come è la UE, ma è veramente stupido che noi contribuiamo a favorire le posizioni dei nostri competitori. Lo fanno gli sciocchi come Salvini e compagni, incapaci di comprendere che la politica è altra cosa dalla propaganda elettorale, ma vi contribuiscono e non poco le opposizioni convinte di poter chiamare lo straniero a rilanciare le loro traballanti fortune (è stato già fatto nel XVI secolo, con conseguenze che un tempo si studiavano a scuola – adesso non più: ricordiamoci dei capponi di Renzo Tramaglino…). Il PD in particolare appare anch’esso bloccato da questo assurdo dibattito sull’identità, che lo spinge a seguire i suoi cattivi consiglieri sui media nel ritenere che è meglio perdere le elezioni che perdere l’anima. Si veda il caso emblematico della Lombardia, ma anche la rincorsa a cercare per la segreteria un candidato costruito dai media e di consistenza più che dubbia come è il ventilato caso della candidatura di Elly Schlein alla segreteria (dimenticando fra il resto che a dargli un ruolo prima nella regione Emilia-Romagna e poi in parlamento è stato proprio quel partito che adesso lei dovrebbe rifondare).

Ora un partito non deve avere una cosa vaga come è “un’anima”, bensì una capacità di fare politica, di incalzare l’avversario chiedendogli conto del perché non trova soluzioni e proponendone di sue: realistiche, non da talk show. Delle alleanze non c’è da avere paura se si è in grado di farle sulla base di accordi seri sulle cose da fare e su quelle da non fare: le forze con cui si collabora vanno misurate sulla prospettiva di uscire dalla situazione di minoranza in cui si è stati confinati e di riconquistare credibilità oltre la propria cerchia.
Dovrebbe valere anche nella gestione dell’opposizione al governo che non può funzionare come scontro fra bandierine di carta. Il momento è difficile e tutti, ma proprio tutti dovrebbero sentire l’urgenza di ricostruire la coesione e la solidarietà nazionale.

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