L’amore è un laboratorio, s’impara nel quotidiano

La folla che ha partecipato a Trento alla manifestazione di martedì 21 novembre in segno di protesta a seguito dell’uccisione di Giulia Cecchettin – foto (c) Gianni Zotta.

Minuti silenziosi come quelli di questi giorni scorrono lenti affollandosi di miriadi di emozioni e pensieri. Da qui diventa necessario procedere verso l’analisi, la riflessione e l’azione. L’intento di queste righe vorrebbe essere costruttivo: che cosa, nel corso della vita di una persona, aiuta a intessere relazioni libere e felici? Non ne farei una questione generazionale. Tutti i giorni purtroppo ci ritroviamo davanti spaventose immagini che ci interrogano sulla violenza dell’uomo forte nei confronti dell’indifeso, fino al suo spudorato e strumentale annientamento.

Come possiamo imparare a volerci davvero bene? Perché di questo in fin dei conti si tratta. «Se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza […] ma non avessi la carità sarei nulla» (1Cor 13, 2).

Preferisco partire dal contesto in cui quotidianamente viviamo tutti assieme, adulti e bambini, giovani e anziani. Le occasioni per imparare l’amore non mancano, basta non lasciarsele scappare quando arrivano.

Un’opportunità la vedo nell’esperienza dell’ospitalità.

Essere accolti in un momento di bisogno capovolge la visione del mondo. Certo occorre non temere di esporsi al rischio di una strada troppo lunga, un imprevisto, un disagio. Facciamo ancora troppa fatica a uscire dalle nostre case.

Ci fa bene poi, assieme ai nostri ragazzi, darsi da fare per persone di tutti i tipi: i loro odori e i loro sguardi ci fanno intuire che nella vita non va sempre tutto bene, che succede di subire violenza e abbruttirsi, sbagliare e pagare caro per i propri errori. La maggior parte del proprio tempo Gesù l’ha passata con persone rotte. La fragilità non è un incidente, ma una condizione umana con cui occorre fare i conti per poi tentare di porvi qualche rimedio senza troppe pretese di risolvere, semplicemente offrendo ciò che siamo. Ospitare la fragilità degli altri aiuta a familiarizzarsi con la propria.

Le nostre relazioni possono anche ammalarsi, abbisognano di cura e manutenzione. Richiedono, tra l’altro, la coraggiosa decisione di frequentare un luogo interiore in cui imparare a stare bene da soli, con Dio e con l’altro. Da lì troviamo la libertà di uscire da noi stessi per incontrare il fratello, di lasciarlo andare o di prendere le distanze da chi ci vuole possedere.

Per spiegare Dio, Gesù non ha avuto paura di raccontare di quel padre e di quei due figli che si sono allontanati dal suo cuore. Uno solo, quello che è andato più lontano, è tornato per davvero. Certe distanze aiutano e la libertà può avere un prezzo molto caro.

Dell’amore se ne deve poter parlare anche nei luoghi e nei tempi della vita. Un amico ha rotto con la fidanzata e spiega i motivi, a scuola un insegnante tratta il tema in una lezione di letteratura o di arte, a tavola, con zii o genitori il discorso salta fuori perché non si parla solo di voti o risultati. Abbiamo tutti bisogno delle parole e delle esperienze degli altri: ci aiutano ad avere meno paura delle ferite inevitabili che ci sappiamo procurare nei nostri tentativi di amare. Il confronto ci incoraggia a ricominciare, a perdonare, a lottare contro il nostro egoismo.

L’amore è un laboratorio, una storia che parla sovente la lingua delle beatitudini e narra di una gioia che viene cercata ogni giorno nelle piccole cose, uno stile di vita. Troppo poco ne trattiamo in questi termini nei contesti educativi e nelle nostre chiese.

Alice, diciassette anni, un giorno, camminando assieme lungo la via Francigena, ci ha raccontato che per lei l’amore è il suo nonno che sotto casa tutti i pomeriggi aspetta con un mazzo di fiori sua moglie di ritorno dal Centro Anziani. Non ha bisogno di essere ringraziato. Le restituisce tanti sorrisi e attenzioni di cui ha ancora colmo il cuore. Altra reperibile occasione per imparare l’amore.

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