Legge sul femminicidio, al Senato un voto condiviso

Femminicidio, violenza sulle donne.

Alla fine è arrivato il mezzo miracolo di una votazione condivisa fra maggioranza e opposizione sulla legge contro il femminicidio (approvata al Senato all’unanimità, con 157 voti favorevoli, mercoledì 22 nel tardo pomeriggio). Si è sbloccata l’approvazione di un disegno di legge riproposto dalla ministra Roccella rinunciando ad inutili bandierine. Ci è voluta la tragedia di Giulia Cecchettin e la abbastanza discutibile enfasi dei talk sul terribile episodio, ma almeno un risultato sul piano legislativo lo si è avuto.

Il contorno delle grandi questioni di questi giorni dovrebbe spingere ad accentuare un confronto di dialogo fra maggioranza ed opposizioni, ma c’è scarso interesse. Il governo qualcosa sembra aver colto se per esempio sulla questione dell’accordo con l’Albania per i campi profughi ha accettato il confronto parlamentare chiesto dalle opposizioni, anche se temiamo che più che di confronto si tratterà di una sfilata di tesi contrapposte. Però il riconoscimento del parlamento come sede deputata ad esporle è già importante.

Dal canto suo Giorgia Meloni potrebbe anche convincersi di stare raccogliendo dei risultati per cui potrebbe fare ameno di incaponirsi su alcune bandierine.

La UE ha tutto sommato dato un riconoscimento al suo bilancio pur con alcune critiche inevitabili per come siamo messi. Nella sua trasferta in Germania ha trovato intese non scontate con un partner tanto importante quanto spigoloso. Dovrebbe trarne motivo per non arroccarsi su proposte di legge che le vengono scritte da collaboratori che pensano più ad esibirsi uscendo da marginalità precedenti che non ad accreditare la credibilità del governo.

Al di là degli episodi più folcloristici, l’intestardirsi sulla riforma costituzionale sul premierato elettivo, mal pensata e peggio scritta, spinge il governo in quella dinamica della sfida all’ultimo sangue che tanti guai ha portato non solo a vari governi del passato (per quello pazienza) ma soprattutto agli equilibri del nostro paese. Proprio sul tema della stabilizzazione della forma di governo ci sono soluzioni largamente condivise, le quali salvano anche l’origine del premier dal voto popolare senza il bisogno della bandierina dell’investitura da scheda apposita.

I temi che veramente premono sono, oltre a quelli internazionali, quelli economici. è la ristrutturazione complessiva del nostro modo di organizzare tanto lo spazio dell’iniziativa economica quanto lo spazio della distribuzione equa delle risorse ciò che diventa sempre più essenziale e che non tollera più i corporativismi grandi e piccoli a cui si sono piegate da decenni tanto la destra quanto la sinistra.

A questo comparto bisogna mettere mano al più presto perché anche il bilancio che è stato mandato a Bruxelles è un intervento per lo più a breve termine (un anno) ed ha poco di strutturale.

Per qualcosa in questa direzione è necessario mettere a mano alla costruzione di un grande consenso nazionale. Quelli che hanno fatto il nido nelle passate scenografie (parlare di ideologie sarebbe troppo) se ne facciano una ragione.

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