Oltre la vittoria, altre sfide per la Meloni

ELEZIONI POLITICHE COMIZIO ELETTORALE DI GIORGIA MELONI / platea e comizio FOTO DI ALESSIO COSER

La vittoria di Giorgia Meloni, ancor più che del suo partito FdI (ormai la personalizzazione della politica la fa da padrona), segna una indubbia novità la cui portata però andrà definendosi col tempo: qualcosa probabilmente abbastanza in fretta, la sostanza invece richiederà più mesi e forse anni. Quel che per il momento non ci sembra sostenibile è che siamo davanti ad un ritorno del fascismo: quello era un fenomeno storico legato ad una fase molto precisa, non paragonabile con quanto avviene intorno a noi.

Si tratta piuttosto della scelta di una quota cospicua di elettorato per fermare una rincorsa a cambiamenti prospettati come sempre più radicali e che impropriamente vengono chiamati progresso. L’errore del PD è stato quello di scambiare le spinte di quelle correnti di opinione che indubbiamente sono alla moda nei talk e sui media in genere come una domanda profonda che saliva dal paese: un errore non nuovo nella storia della sinistra, che viene aggravato da una gestione oligarchica di quel partito come sempre ingannato dalle lusinghe di varie forme di occupazione del potere. Se avessero avuto a mente la storia della DC avrebbero potuto come minimo valutare quei rischi.

Ora ovviamente ci si chiede cosa farà la nuova vincitrice. Ancora una volta lasciamo perdere le felicitazioni di Orban, Le Pen e leader polacchi, che, come sempre succede, cercano conforto alle loro non proprio brillanti situazioni. Dubitiamo altamente che Meloni voglia imbarcarsi in riforme di “democrazia illiberale”, perché si è dimostrata realista e sa benissimo che la nostra storia è tanto diversa da quella dei paesi dell’Europa orientale e anche da quella della Francia. Con ciò non si può garantire che sarà in grado di contenere le spinte che vengono sia da un certo estremismo tradizionalista sia da un utopismo sfasciato che predica la possibilità di mettere in piedi un mondo diverso da quello in cui ci tocca vivere. Però dovrà riuscire a contenere la domanda di “piantare bandierine” e di affermare la sostituzione del potere discrezionale di quelli di prima con il proprio. Anche qui le converrebbe ricordare che quelle spinte non hanno portato bene né a Berlusconi, che vi si arrese più volte, né alla Lega che col suo correre a piazzare amici anziché competenti ha perso un bel po’ di voti (anche in Trentino).

Quando Meloni e i suoi consiglieri ripetono continuamente che puntano a fare un governo dei migliori competenti disponibili senza stare a guardare se hanno o meno in tasca la tessera di FdI o della destra, sembrano consapevoli di quanto questo passaggio sia determinante per la stabilizzazione del loro successo. Naturalmente non sarà un’impresa facile perché di persone che mettano il servizio all’interesse generale al di sopra del loro schierarsi con questo o quel partito non ce ne sono molte. Del resto è anche comprensibile in un mondo in cui è più facile fare carriera se ci si mettono, come diceva il poeta, un certo numero di coccarde in tasca.

Sarà un po’ più facile farlo per le posizioni ministeriali che servono per accreditarsi di fronte al contesto in cui dobbiamo muoverci se non vogliamo perdere l’aggancio con quelli che possono aiutarci a sostenere la nostra difficile situazione economica e il nostro ruolo nel complicato contesto internazionale. Economia, Esteri, Interni, Difesa, ma anche Sviluppo e Innovazione tecnologico-digitale rientrano in questa categoria. Meno facile sarà per altri, che pure sarebbero chiave, ma la cui importanza sfugge, tipo Istruzione, Università, Ricerca. Temiamo sarà molto più difficile mantenere questo profilo nell’assegnazione dei sottosegretari e vice-ministri: sono posizioni in cui in genere si accontentano un po’ tutti i membri della coalizione, ma sono posizioni egualmente delicate perché un ministro non fa tutto da solo e in più sono palcoscenici da cui si possono predicare sciocchezze facendo danni non da poco.

Infine c’è l’ambito quasi ingestibile delle “spoglie” che il governo può distribuire: posti nel servizio pubblico televisivo e radiofonico, nelle grandi e medie aziende di stato, nella miriade di organismi in cui le nomine dipendono dal potere politico. Su questo universo sarà fortissima la pressione delle varie lobby, soprattutto di quelle che reclamano di far le scarpe agli attuali detentori sulla base del fatto che anche quelli devono per lo più le loro posizioni al risultato della spartizione delle spoglie fra chi prima era al governo.

Meloni segnerà una svolta se romperà questi circuiti perversi. Lo farà non soltanto a vantaggio della sua statura e credibilità (che sarà testata proprio in questi campi), ma a vantaggio del paese perché imporrebbe uno standard che dovrebbe vincolare anche quelli che verranno dopo di lei: perché la democrazia, pur coi suoi tempi, si basa sull’alternanza al governo delle diverse forze politiche.

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