“Dovunque è Betlemme”. Il senso del presepe, a 800 anni dalla prima rappresentazione di san Francesco. Parla Paolo Dalla Sega

Simbolo del Natale cristiano, il presepe fu ideato da san Francesco 800 anni fa, il giorno di Natale del 1223.

Allestirlo in famiglia resta un gesto semplice e autentico. Ma che cos’ha da dirci oggi il presepe? Ne parliamo con Paolo Dalla Sega, docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, e direttore del programma culturale del Comitato Nazionale Greccio 2023, istituito dal Ministero della Cultura per le celebrazioni dell’ottavo centenario della prima rappresentazione del presepe.

Lo raggiungiamo telefonicamente a Greccio, dove si trova per la presentazione dello spettacolo che ha per protagonista l’attore Ascanio Celestini.

Prof Dalla Sega, qual è il significato del presepe oggi, nel nostro contesto culturale?

Il presepe nasce nel 1223, quando Francesco torna dalle Crociate. Un tempo di guerra, lo ricordo perché uno le può rivedere pari pari adesso, nella stessa terra, che poi si chiama Santa. La sua intenzione è quella di dire: “Betlemme è dappertutto”, non occorre combattere per possederla.

“Dovunque è Betlemme”. E lo dice trovandosi in una valle tra Rieti e Terni, vicino a Roma, a Greccio, un paesino semplice e povero. “Può nascere anche qui”, dice Francesco.

Trova una grotta e là allestisce quella che è considerata la prima rappresentazione del presepe.

Come doveva essere questo primo allestimento, anche da un punto di vista scenico?

Voglio sottolinearlo, perché non è mai abbastanza chiaro. Francesco la grotta la lascia vuota. Ci mette l’asino e il bue, per simboleggiare Ebrei e Gentili, come nell’Antico Testamento. E ci mette la mangiatoia, ma la lascia vuota.

Perché?

Quello che vuol fare lui, è far vedere – cito – “con gli occhi del corpo”.

Che significa?

Vuol dire che tu – uomo, donna, bambino – ti devi vedere, immergere, sentire, comprendere entro quello spazio. Non stai guardando uno spettacolo da fuori, passivamente, ma sei parte di quello che sta accadendo, che è la Natività, il Natale di Gesù. Questo è quello che accade, secondo le fonti, nel 1223.

Un invito a prendere parte alla scena in prima persona, molto moderno.

È il teatro dei grandi maestri del Novecento.

Un grande anche in questo, Francesco.

La grotta e la mangiatoia rimangono vuote perché tu senta, veda con gli occhi del corpo, perché non ti stiamo raccontando una storia, ma stai vivendo un’esperienza che dà inizio alla Storia.

Quest’anno 2023, invece, che accadrà?

La produzione culturale principale ( presentata da Dalla Sega con Ascanio Celestini e fra Alvaro Cacciotti , in conferenza online mercoledì 20 dicembre sera, ndr) di quest’anno è uno spettacolo teatrale commissionato per l’occasione a un grande artista, attore e regista di se stesso, come Ascanio Celestini.

Ce lo racconta?

(In sottofondo si sente uno scampanìo. “La campana di Greccio, in diretta”, dice Dalla Sega).

Non è una rappresentazione sacra, non è teatro religioso nel senso più letterale del termine, però Celestini si è sempre occupato di ultimi, di periferie, di marginalità. E va anche oltre l’affermazione di san Francesco “Non solo Betlemme, anche Greccio”.

Dice Celestini: “Non solo Greccio, anche il parcheggio di un supermercato può essere il luogo della nascita di Gesù”.

I luoghi di degrado della nostra società dei consumi.

Sì, e di degrado non solo fisico, ma anche sociale.

Lo spettacolo però si apre e si chiude con l’immagine del cielo: oltre il degrado?

È uno spettacolo molto lungo, molto bello, che il 23 dicembre sarà al Piccolo Teatro di Milano. E spero – è un auspicio che esprimo da trentino che non è a Trento – di vederlo a Trento nel 2024, o poco dopo, dal momento che tra il 2023 e il 2026 cadono diversi centenari francescani.

Ci dica di più.

Lo spettacolo racconta tre storie e cerca di rispondere a queste domande: dove nascerebbe oggi? a chi si rivolgerebbe? dove sono e chi sono i nuovi pastori?

Di san Francesco cos’ha imparato?

Una parola chiave di Francesco è: umanità. Francesco ci dice che tutti possiamo aspirare al bene. E quindi la diffusione di questi valori nel senso più ampio possibile è il messaggio che abbiamo voluto dare, anche chiamando un artista come Ascanio Celestini sempre molto attento agli ultimi, ai senza voce, a chi è messo ai margini.

Che altro?

Mi ha colpito il fatto che Francesco non amasse farsi chiamare “padre”, perché sosteneva che siamo tutti uguali.

“Piuttosto – diceva – chiamatemi madre”. In questi giorni in cui si parla di rapporti complicati tra uomini e donne e tornano parole magari dimenticate come “patriarcato”, credo che varrebbe la pena non dico studiare Francesco, ma almeno volergli bene e cercare di leggere e capire quello che ha fatto, che ha detto e che ha lasciato, anche rispetto a temi dirompenti come questo del rapporto tra i sessi. C’è tanto da scoprire.

Fare il presepe nelle case, in famiglia, cosa suggerisce, oggi?

Lo sforzo di diffondere il più possibile il messaggio che tutti possiamo fare parte della nascita di Gesù e l’umanità di questo messaggio.

Quello che ci viene detto, anche attraverso il presepe, è che ognuno di noi fa parte di questa interpretazione

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