L’incognita sarda, un test per i partiti

Domenica 25 febbraio si vota in Sardegna per le regionali e ci si chiede se possano essere considerate un primo test per capire se il sistema dei partiti si stabilizza o meno. Qui non ci sono le incognite di un sistema proporzionale che vede tutti contro tutti come per le europee: peraltro nella precedente tornata di queste nel 2019 votò il 36,2% degli aventi diritto, mentre alle regionali tenutesi in quello stesso anno si era recato alle urne il 53,6 %. Questa volta è o dovrebbe essere uno scontro fra due blocchi: il centrodestra e il cosiddetto campo largo, cioè PD e cespuglietti + M5S.

Basterebbe questo per dare un significato di test a quello che accadrà domenica, aggiungendo però che nessuno dei due blocchi si presenta davvero compatto. Guardando a quel che è accaduto alle elezioni politiche del 2022, dunque non molto tempo fa, la situazione potrebbe presentarsi a favore del centrosinistra più i contiani (che però non sono proprio esattamente il vecchio M5S): infatti i primi avevano ottenuto il 28,6% dei voti e i secondi il 21,8%, il che al cosiddetto campo largo unito attorno alla candidatura di Alessandra Todde (fedelissima di Conte) darebbe un 50,4% di voti contro un centrodestra che allora si fermò al 40,5% dei suffragi.

Però i quasi due anni passati dalle politiche hanno visto molti cambiamenti. Innanzitutto il successo a livello nazionale di Giorgia Meloni consolidatosi con la sua premiership. In secondo luogo il declino di Salvini, che anzi in Sardegna dopo aver fatto fuoco e fiamme per mantenere come candidato governatore il suo Solinas, ha dovuto ripiegare accettando che la candidatura andasse al meloniano Truzzu sindaco di Cagliari. Solinas per altro era un leghista di complemento in quanto leader del vecchio Partito Sardo d’Azione, che aveva cambiato settore passando dalla sinistra alla destra, ma che ha governato male ed è anche in una non facile situazione giudiziaria.

Salvini però alla fine ha capito l’antifona e adesso fa sfoggio di fede nella coalizione, ma si capisce perché: se va bene al destra-centro parteciperà alla spartizione delle spoglie, se andasse male la colpa sarebbe tutta della Meloni che ha imposto il suo candidato.

Se non tutto, molto dipenderà dalla prova del cosiddetto campo largo, dove il PD di Schlein ha accettato il diktat di Conte sulla sua vice evitando di misurarne il consenso con le primarie (che peraltro sono diventate un tabù nel partito democratico che non le fa se non raramente). Ora quel partito si è spaccato, perché un suo storico dirigente, Renato Soru, già a suo tempo governatore, non ha accettato che non si facessero le primarie a cui voleva presentarsi per far posto senza competitori alla candidata dei Cinque Stelle. Si presenterà dunque con una sua lista che è accreditata di un 8-10% di voti.

Ma al di là di quanti voteranno per Soru, c’è l’incognita di quanti membri del PD si asterranno dal voto non accettando il patto tutto romano fra Schlein e Conte. La Sardegna è territorio fortemente autonomista, è un’isola con una sua cultura radicata e i fattori regionali contano sicuramente molto. In più i Cinque Stelle hanno perso molto appeal in questi due anni e la gestione di Conte è stata più di immagine sui media che di radicamento politico: elementi che pesano molto nelle elezioni “irresponsabili” come sono quelle europee, ma possono molto meno in elezioni regionali dove c’è da governare un territorio in cui non mancano i problemi economici e sociali (campo dove gli ex grillini sono ben poco affidabili).

Aggiungiamoci che il fascino del legame col governo centrale gioca un suo ruolo: proprio l’insularità della Sardegna necessita di sostegni da parte del potere romano. Dunque il destra-centro ha le sue armi da giocare, mentre il campo largo ne ha molte meno. In competizioni dove si contano anche i minimi scarti, la secessione di Soru dal PD unita alla presenza di una candidata indipendente, Lucia Chessa, che non raccoglierà se non briciole, ma comunque briciole che possono essere decisive per spostare i pesi, rende incerta la scommessa del campo largo.

In questo caso a rischiare è solo Schlein, perché Conte se il campo largo vince si intesta la vittoria, se perde darà tutta la colpa alle divisioni nel PD. La segretaria finirà così per non uscire bene da questa avventura: se Todde vince, Conte accentuerà la sua voglia di relegarla a un ruolo al massimo di comprimaria, se sarà sconfitta dovrà rispondere della strategia perdente di rinunciare alle primarie per tenersi buoni i Cinque Stelle.

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