Non c’è solo il virus…

Giuseppe Conte

Nella medicina se ne sono accorti tutti: a concentrarsi esclusivamente sul Covid 19 si stanno creando guai molto seri nella prevenzione e cura di altre patologie sia molto gravi (oncologiche, cardiovascolari), sia meno gravi, ma tuttavia bisognose di attenzione per molte possibili complicazioni che comportano. Non è che si stia facendo molto per fronteggiare questa situazione, perché il tema è quello di sempre: servirebbe quasi sdoppiare gli ospedali e incrementare in maniera notevole la medicina sul territorio, ma, problema delle risorse finanziarie a parte, ci vuole tempo e ci sono alcuni vincoli oggettivi (per esempio non è che nuovi medici si formano in pochi mesi).

Nella politica c’è un fenomeno simile, di cui però nessuno si occupa. Tutti attenti a quel che fa la politica nella lotta alla pandemia, moltissimi sensibili alle ricadute che questa sta avendo sulla vita economica, pochi a riflettere che ci sono tante altre incombenze che gravano sulle classi dirigenti, incombenze che non possono essere tralasciate. Perché bisognerebbe avere presente che esse non è che sono sparite dalla scena: continuano ad esistere e sono lasciate in mano a burocrazie e circoli di addetti ai lavori che le trattano nel loro interesse fuori da qualsiasi controllo della pubblica opinione.

Alcune questioni sono macroscopiche, e su quelle magari un minimo di attenzione c’è. Prendiamo la legge di bilancio che deve essere varata entro l’anno, cioè praticamente fra un mese e mezzo con passaggi alla Camera e al Senato. È un atto molto importante che stabilisce le possibilità e il raggio di azione dello stato e a cascata delle sue articolazioni in molti settori cruciali. Non c’è dibattito pubblico su questo, se non per quel che può riguardare il tema degli interventi sulla sanità e la possibilità di mantenere un sistema di sussidi per tamponare le chiusure che imporrà la gestione della pandemia. Ma il paese continuerà ad avere bisogno di infrastrutture, ricerca, giustizia, lotta alla disoccupazione, sostegno alle povertà, e via elencando. Se nella legge di bilancio gli spazi per intervenire su questi settori si riducono al lumicino, ci troveremo molto male.

Certo si può sperare, per lo più a torto, che tutto sarà risolto con l’arrivo della pioggia di miliardi da Bruxelles. A prescindere dal fatto che il percorso per rendere operativi i fondi del Next Generation UE continua ad essere accidentato (il compromesso fra Commissione e Parlamento europeo è boicottato da Ungheria e Polonia), non sappiamo nulla dei piani che l’Italia avrebbe già dovuto presentare alla Commissione sia pure in una prima versione di massima. Chi se ne occupa? Le burocrazie ministeriali con il loro contorno di lobby e avvoltoi allevati dalla abitudine alla lottizzazione insensata (del resto quanto sia forte questa mala pianta lo abbiamo visto nella vicenda kafkiana dei due commissari alla sanità calabrese).

Vogliamo anche parlare del tema della riforma della giustizia? Ci sono tonnellate di carta e ore di talk show dedicati a questo tema che tutti considerano uno degli elementi di freno allo sviluppo del nostro paese e al mantenimento della sua reputazione internazionale. Si è dovuto lasciar correre sulle trovate propagandistiche del ministro Bonafede per non perdere il contatto coi Cinque Stelle nell’illusione che poi, senza clamore e col loro tacito consenso, si sarebbero riaggiustate le cose. Non è accaduto, e il sistema continua a soffrire, ancor più ora che le limitazioni imposte dal contrasto all’epidemia stanno acuendo i problemi accumulati dai ritardi che si sono avuti nel tempo.

Della questione di ciò che una volta si chiamava le politiche attive del lavoro si è persa traccia. Il reddito di cittadinanza sopravvive malamente (una quota dei percettori l’ha avuto sospeso per fine del primo periodo e non si sa se e quando e come verrà riattivato), i famosi “navigator” vivacchiano nell’ombra dei loro ufficietti senza poter produrre nulla (ma il loro inventore e capo continua a percepire ottime remunerazioni e fringe benefits), perché tutte le risorse disponibili devono essere concentrate sui “ristori” che evitano rivolte sociali.

Se si è capaci di considerare le cose con un’ottica di lungo periodo c’è di che preoccuparsi. Perché la pandemia prima o poi finirà, ma allora dovremo confrontarci non solo con le macerie che essa ci avrà trasmesso in eredità, ma anche con tutti gli altri problemi che abbiamo lasciato ulteriormente degradare e che costituiranno una complicazione non piccola per la ripartenza.

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