Questa settimana e forse la prossima, o almeno il suo inizio, saranno caratterizzate da due eventi clou del populismo italiano: il congresso della Lega e la piazza dei Cinque Stelle. Salvini e Conte al centro della scena. Entrambi sono spine nel fianco, uno della maggioranza, l’altro dell’opposizione: sarà una occasione per vedere fino a che punto vogliono spingere il loro ruolo di sfasciacarrozze, per dirla con le azzeccate parole di Tajani.
Il segretario leghista va verso un congresso che molti pensano sarà senza storia, visto che nessuno si è candidato contro di lui, ma le sorprese saranno fra le righe. Salvini ha deciso di mettere in imbarazzo il governo puntando ad un attacco selvaggio a Ursula von der Leyen e al suo piano di costruzione di una difesa europea, cioè ad una politica non rinunciabile se il nostro Paese vuol mantenere un ruolo di qualche peso in questa contingenza. Non ha rinunciato al peggior armamentario populista, come l’accusa (farlocca) alla presidente della Commissione europea di lavorare solo in favore della “sua” Germania: si aggiunge al solito repertorio per cui spendere in difesa significa togliere risorse alla sanità, agli asili e al welfare (argomenti che condivide ampiamente con Conte).
Sembra che il segretario voglia proporre al congresso la nomina ad personam come vice segretario del generale Vannacci. Sarebbe una mossa che conferma la deriva toto-populista del partito, ormai tutto concentrato sul movimentismo agitatorio interpretato come l’arma vincente per le competizioni elettorali. Secondo alcune analisi è una mossa per tenersi stretto lo scarso consenso che la Lega ha al Sud e in parte del Centro, un consenso molto estremista che peraltro infarcisce il congresso di delegati con scarsa base espressi da quelle regioni, i quali risultano molto utili per contenere le non poche inquietudini della dirigenza storica del Nord leghista.
Quanto può sopportare Meloni questa politica corsara del cosiddetto “Capitano”? Si dice che lei punti a considerarla un exploit in favore di congresso, passato il quale Salvini cambierà registro. A noi sembra difficile, per la semplice ragione che non ne ha un altro, e che comunque non è che potrà cancellare l’attacco alla politica della Commissione europea: il che significa essere un guaio per la premier, perché la indebolisce nella politica internazionale, che è il suo attuale punto di forza.
Certo Meloni può contare sulla debolezza dell’opposizione, a cui Conte impedisce di elaborare una politica incisiva a livello europeo e internazionale. Contrastarlo per Elly Schlein non è semplice, perché M5S ha uno zoccolo relativamente duro di consensi, perché può contare su una alleanza ibrida con AVS, perché l’impostazione dell’ex avvocato del popolo trova riscontri nel PD, sia a livello di nuovi gruppi dirigenti che vengono da una formazione politica abborracciata e infarcita di pseudo ideologia (vedere l’indegno documento di un gruppo di parlamentari contro Pina Picierno), sia a livello di quegli elettori che hanno portato al potere l’attuale segretaria.
Conte dal suo punto di vista rischia molto poco. Se riesce a condizionare il PD, significa diventare di fatto l’uomo chiave di un resuscitato campo largo; se il PD trovasse il coraggio di intimargli un chiarimento, potrebbe rifiutarlo giocando al ruolo della componente di avanguardia che viene emarginata perché ha il coraggio di dire la cosa giusta (per tenersi gran parte della sua base elettorale basta e avanza).
Per strano che possa sembrare, il successo o meno delle strategie delle convergenze parallele dei due populismi di Salvini e Conte dipenderanno da due fattori. Il primo è il sostegno che la loro battaglia demagogica contro le politiche di contrasto, anche sul piano della difesa militare, ai neo imperialismi in campo riceverà dal sistema della comunicazione.
Sebbene sia sempre da ricordare che quel tipo di sostegno non si traduce automaticamente in voti, i gruppi dirigenti della classe politica vivono quasi in simbiosi con quello e tendono ad assecondarne gli impulsi. Il secondo è se sarà possibile in qualche modo un accordo sottobanco (alla luce del sole è escluso) fra una parte della maggioranza e una parte dell’opposizione per tagliare l’erba sotto i piedi del populismo: per esempio una scaltra riforma della legge elettorale che ripristinando il proporzionale, ridisegnando i collegi e dando spazio alle preferenze ridimensioni le coalizioni obbligate.
Certo comporterebbe alcuni non piccoli e non banali problemi, ma taglierebbe le unghie tanto a Salvini quanto a Conte.