Ben ottantuno i Comuni senza liste: che si fa?

Lo spunto

Purtroppo è successo. Nessuna lista per le elezioni del 4 maggio 2025. Il sindaco Sandro Pedot non ricandida a Capriana, “Caoriana” per gli abitanti. Nel 1224 era “Cavrianum”. Di seguito diventa “Caveriana e Cavriane”, al 1304 prende il nome di “Cauriana”. Nel 1815 ha dato i natali a Maria Domenica Lazzeri per la quale è stato avviato il processo di beatificazione. Geograficamente si colloca sul territorio della Val di Cembra, politicamente fa parte della Val di Fiemme. Conta circa 600 abitanti, all’interno anche una piccola comunità macedone. Sul fatto che nessuno si sia candidato, è d’obbligo un “mea culpa” collettivo. Doveva essere il terzo mandato per il sindaco Sandro Pedot (si è reso comunque disponibile a dare una mano). In passato non aveva avuto antagonisti, ma… c’è sempre un ma, quando si arriva a questa decisione. È appunto questo “ma” che vorrei analizzare. Forse abbiamo perso o si è affievolito il significato di Comunità? Oppure, l’onere da sostenere non giustifica gli onori che ne derivano? O quel che è peggio, ci sentiamo pesci fuor d’acqua nel contesto della Val di Fiemme? Capriana non ha mai avuto una collocazione ben definita. Per i Fiamazzi fino a poco tempo fa eravamo considerati Valèri, viceversa per i Cembrani venivamo definiti Fiamazzi… È la sorte di quasi tutte le Comunità di confine! Con un dialetto che si discosta da quello cembrano e dal fiamazzo siamo da questo punto di vista autoctoni. Sicuramente a Capriana non mancano i giovani volonterosi e desiderosi di collaborare per il bene del paese, forse un tantino timorosi, non conoscendo i risvolti che comporta amministrare un Comune.

Corrado Zanol – Capriana

Il problema lamentato da Zanol non riguarda solo Capriana, che pur vanta una lunga storia millenaria e un ruolo storico di “cerniera” fra valli e appartenenze. Sono infatti ben 81 (su 157) i Comuni che si presentano al voto del 4 maggio con un solo candidato sindaco, mentre tre sono commissariati. Fra questi figura anche Luserna (ne ha parlato Pier Dal Rì in un recente articolo), paese simbolo delle antiche minoranze che trovarono vita e lavoro sui monti del Trentino e ancora stanno all’origine della sua autonomia e capacità di autogovernarsi. Risulta amaro constatare come in queste realtà insediative manchino i candidati a reggere il Comune.

Il contesto in cui si svolgono le elezioni, peraltro, è molto complesso per cui, a nostro avviso, occorre evitare di lasciarsi prendere dallo scoraggiamento o dal pessimismo circa la mancata partecipazione. È meglio, forse, cercare di approfondire, tenendo presente che in una realtà alpina come il Trentino il voto comunale non può essere il copia – incolla di quello nazionale, anche se inevitabilmente ne riflette le pressioni e i condizionamenti. Contemporaneamente va tenuto presente che un sindaco non è solo una persona chiamata ad amministrare un paese, o a schierarsi su questa o quella alternativa politica, ma è una presenza identitaria che deve esprimere innanzitutto il “sentire” della comunità che è chiamato a rappresentare. Non è facile, di questi tempi, individuare personaggi con simili caratteristiche, vuoi per le obiettive difficoltà con cui deve confrontarsi chi intende impegnarsi nella cosa pubblica, vuoi per le mutate sensibilità (esigenze, priorità…) degli elettori, dei cittadini.

Per quanto riguarda il primo aspetto, un sindaco deve sapersi muovere almeno su tre fronti: quello delle opposizioni in consiglio, quello dei “poteri forti” locali ed anche esterni – turistici e immobiliari per lo più nel Trentino – che spesso contrabbandano la colonizzazione per sviluppo, e quello dell’autorità giudiziaria, che giustamente svolge il proprio ruolo, ma che in molti fa nascere la consapevolezza che non bastino buon senso e integrità personale per districarsi nella giungla degli appalti, dei ricorsi, delle responsabilità civili. Quanto al secondo aspetto va rilevato come il sindaco non venga sentito solo quale amministratore, ma vera figura portante, “paterna” della comunità, capace di farsi carico dei problemi anche personali dei cittadini, a volte un “cireneo” che porta croci anche altrui.

Ma di fronte ai “veri” problemi mondiali (dal riarmo ai dazi) che incidono sul lavoro quotidiano delle più isolate popolazioni rurali, chi è in grado di intervenire? Rassicurare? Chi si sente di impegnarsi? Il mondo appare sottoposto a continue grandinate e nessuno, né giovani o anziani, né liste civiche o uomini della provvidenza sembrano in grado di fermarle. Allora ci si blocca, si cerca un riparo che può essere anche il commissario. Ma non è detto che questa figura debba necessariamente essere una presenza burocratica negativa, calata dall’alto. Già molti Comuni italiani del Medioevo chiamavano come podestà o consoli (due per bilanciarne i poteri) personaggi “esterni”, non condizionati dalle appartenenze familiari o di clan, che sempre nelle piccole realtà si mescolano alle appartenenze politiche. E poi non è per nulla detto che un “commissario” sia il formale emissario di un potere estraneo o addirittura ostile. Se un commissario fa bene significa che è stato scelto bene, che sa capire, interpretare le comunità locali. Se viene stimato – come le cronache riferiscono di Luserna – significa che si è mosso bene. E allora perché non tenerlo come “lievito” politico della comunità, del paese, con un ruolo che lo metta in grado di far crescere collaboratori capaci poi di sostituirlo? Certe funzioni si imparano solo facendole, più che con i corsi di aggiornamento. Anche perché nei nostri paesi la vera priorità è ricostruire un tessuto umano di responsabilità dopo la desertificazione operata nella “razionalizzazione” (spesso per miopi “tagli” ai bilanci) dei pubblici impieghi. E fare politica è innanzitutto costruire un popolo, una comunità, come ricordava Alcide De Gasperi, farla crescere insieme, non dividerla per portare un voto di maggioranza in più ad uno schieramento o all’altro. Ed allora merita forse considerare anche la mancanza di candidati in una prospettiva più serena, come un tirocinio da affrontare, non come una conta, ma per costruire donne e uomini nuovi dentro comunità più motivate e consapevoli.

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