Il digiuno di chi “stacca la spina”

Siamo passati dall’homo erectus a quello curvatus, osservava due lunedì fa Alessandro d’Avenia sul Corriere della Sera: “Dopo millenni di evoluzione il nostro sguardo è tornato giù, al telefono, tanto che esiste una nuova patologia: la cervicale da smartphone”. Rialzare la testa dalle nostre tastiere è ormai da almeno quindici anni una proposta di rinuncia quaresimale, da alcuni raccomandata, per altri discutibile. È ritenuta impraticabile da chi afferma che un rigido digiuno mediatico ci impedirebbe, per coerenza, di offrire servizi pastorali online oppure di “vedere e giudicare” notizie di attualità che interrogano le nostre scelte. E anche di godere dei commenti al Vangelo della Quaresima, offerti su YouTube da ottimi biblisti come Ermes Ronchi o Paolo Curtaz o, in ambito locale, dai messaggi audio di don Stefano Zeni o suor Chiara Curzel. Può forse bastare una forma leggera di digiuno come la “Giornata della disconnessione”, “unplugging”, lo chiamano nelle diocesi americane, dove lo staccare la spina simbolico impegna singoli e gruppi a “reinvestire il tempo nella preghiera e nella carità”. Che non sia superata una verifica su questo digiuno, lo conferma papa Francesco nell’intenzione di preghiera per aprile 2025, quando invita a saper usare bene il dono della tecnologia digitale, senza sostituirla alle relazioni umane: “Quanto mi piacerebbe che guardassimo meno gli schermi e ci guardassimo di più negli occhi”, esclama nel video della Rete mondiale di preghiera, aggiungendo: “Se trascorriamo più tempo con il cellulare che con le persone, qualcosa non va. Lo schermo ci fa dimenticare che dietro ci sono le persone reali che respirano, ridono e piangono”.

Dopo aver osservato che “non è necessario digiunare da tutti i media, visto che li usiamo per lavoro, scuola e famiglia”, una studiosa Paolina, suor Nancy Usselman, invita i suoi studenti di Los Angeles a fare una scelta più limitata, ma ragionata: “Consideriamo qual è la cosa più problematica e dispendiosa in termini di tempo e poniamoci quest’obiettivo specifico per il nostro digiuno mediatico”. Nel concreto suor Nancy propone di “guardare solo un episodio della serie in streaming alla volta invece di farsene un’abbuffata di continuo” oppure di “rimuovere anche provvisoriamente una App che ci risulta problematica”. Una costante verifica – l’idea è sempre della suora massmediologa – è quella di controllare la funzione “Benessere digitale” sulle Impostazioni del nostro smartphone e controllare il “tempo di utilizzo”, misurando la durata giornaliera. Che botta! Potremo concentrarci allora sul meccanismo che più ci cattura e ci sottrae agli altri: quegli ammiccanti e suggestivi reel, ovvero i video brevi, che i social media ci presentano a raffica (uno tira l’altro, come ciliegie non sempre saporite) sulla base dell’algoritmo, dei nostri gusti e dei precedenti click. Spesso li rifiutiamo, ma prima però li “assaggiamo”, perdendo tempo.

“Staccare la spina” come impegno a liberarci da una abitudine (dipendenza?) che spesso è soltanto comodità curiosa (anche morbosa?) ci farà recuperare spazi per la connessione con la Parola e con gli altri. Per un’attenzione ai nostri familiari o agli amici più soli, per trovare il tempo del ristoro nella natura o nell’esercizio fisico. In particolare per quell’ascolto di bambini e ragazzi, al quale ci ha richiamato mercoledì 9 aprile la celebrazione della primissima Giornata nazionale per l’ascolto dei minori. Tra l’altro, se loro ci vedono sempre connessi, come potranno diventare adulti che ascoltano?

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