Problemi seri e show populisti

Mentre il mondo sembra sempre più dover fronteggiare cambiamenti che non si sa come andranno a evolvere, una parte cospicua della politica italiana si balocca con presunte questioni identitarie. È tipico dei momenti di crisi e delle strategie dei vari populismi, ma non è che questo ci conforti.

La guerra commerciale aperta dall’avventurismo della politica di Trump è una faccenda più che seria, anche se non è ancora chiaro a quale logica (termine eccessivo) risponda: solo far confusione per poi arrivare ad un negoziato su questioni specifiche o destabilizzare l’intero sistema per vedere se poi lo si può ricostruire a proprio piacimento (dell’inquilino della Casa Bianca)?

La politica italiana dovrebbe porsi seriamente questi interrogativi e vedere come può cooperare alla ricerca di soluzioni possibili solo in ambito europeo, dato che siamo troppo poco significativi per guidare una proposta politica (ammesso e non concesso che ne abbiamo davvero una).

La premier Meloni appare al momento priva della necessaria determinatezza per guidare la risposta italiana al momento critico: lo è sia nel rapporto con la sua maggioranza, sia nella dialettica con quel coacervo impazzito che sono diventate le opposizioni.

Nell’ambito della maggioranza c’è ormai il semi – serio problema Salvini. Il confermato segretario della Lega, sebbene sia secondo alcuni un po’ ridimensionato da una ripresa di alcuni leader del partito nordista, non cessa di attaccare a vanvera la UE, di trafficare per accreditarsi entrature internazionali (coi populisti di destra, ovviamente), di proporre rimpasti di governo per tornare al Viminale, nella speranza che con ciò si sancisca la sua preminenza su Tajani agli Esteri.

Meloni risponde col classico “troncare e sopire” in attesa di andare lei alla corte di Trump nella speranza che questi, magari giusto per seminare zizzania in Europa, si convinca a darle un po’ di successi di bandiera.

Vedremo se andrà così, ma anche in quel caso ciò che guadagnerebbe si tradurrebbe anche in un inasprimento delle contrapposizioni che incontra a livello UE, a partire da quelle francesi, il che francamente non ci aiuterebbe molto.

C’è da aggiungere che nel caos provocato dalle politiche americane sui dazi avrà da confrontarsi con tutti i lobbismi che si scateneranno, comprensibilmente, nei vari comparti produttivi: altro terreno privilegiato per incursioni di tutte le manovre nei diversi partiti tanto di maggioranza quanto di opposizione.

In un contesto del genere sarebbe importante per il governo poter gestire un rapporto decoroso con le opposizioni, o almeno con le componenti più razionali di esse. Invece il successo mediatico e di immagine dello show di Conte che riunendo una affollatissima piazza ha mobilitato i sentimenti primordiali di una parte del paese (cospicua, ma non è detto che sia maggioritaria, né che in caso di elezioni si schiererebbe con il fu avvocato del popolo – gialloverde) ha portato ad una almeno apparente saldatura attorno al leader pentastellato di AVS e di altre componenti sparse (nonché di influencer alla ricerca del loro spicchio di gloria).

A fronte di questo il PD vacilla, perché il clima attuale segna una spaccatura fra le sue tradizionali componenti “alternative al sistema” rinforzate da un movimentismo post-studentesco di ritorno delle nuove leve dirigenti e le sue altrettanto tradizionali componenti educate al tema della costruzione della “alternativa (credibile) di governo” (irrobustita dall’apporto delle confluenze di forze di ascendenza non PCI). Al momento, se dobbiamo giudicare dalle mozioni sulla politica internazionale presentate in parlamento da M5S e AVS la voglia di mettere in difficoltà il PD è molto alta, ma ciò che sconcerta è come la dirigenza di quel partito non abbia il coraggio di denunciare l’inconsistenza di quanto propongono quelle forze, perché sinceramente si tratta di pura demagogia.

Chi conosce i retroscena spiega che Schlein e compagni, inclusi alcuni che non sono proprio sulla stessa lunghezza d’onda della segretaria, pensano che senza i voti dei Cinque Stelle e dell’estrema sinistra non ci sia speranza di vincere le prossime tornate elettorali amministrative. Può essere, ma così probabilmente perderanno le prossime elezioni politiche, a meno che la coalizione di destra-centro non si sfaldi vuoi per contraddizioni interne, vuoi per l’evoluzione del quadro internazionale.

Ma allora in un contesto di populismo caotico generalizzato chiunque vinca non riuscirà poi a governare.

vitaTrentina

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