L’incontro tra Meloni e Macron e uno scacchiere internazionale che si complica: le sfide che l’Italia dovrebbe affrontare

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La situazione politica italiana si concentra sulla battaglia referendaria, non tanto come questione legata al contenuto dei quesiti, quanto come scontro politico con cui le opposizioni pensano di aver trovato la via per dare un colpo al governo Meloni, e con cui la coalizione di governo pensa di poter dare una prova di forza facendo fallire il raggiungimento del quorum per la validità.

Poiché alcune delle questioni sollevate per fare polemica sono reali (anche se, a nostro modesto avviso, il referendum non vi incide per nulla), sarebbe un’ottima occasione per affrontarle con serie iniziative legislative in parlamento: una maggioranza che sapesse il suo mestiere metterebbe ben più in difficoltà le opposizioni avanzando proposte di legge contro il lavoro povero, il lavoro precario, la giungla dei subappalti. Però non è aria, perché sulle leggi si può negoziare e ragionare insieme col rischio, guarda un po’, che tutti possano alla fine portarsi a casa qualche merito per la soluzione (di compromesso) trovata, mentre agitando bandierine da una parte e dall’altra si compattano le rispettive tribù e pazienza se tanta gente si allontana dalla politica.

Più che il quadro di ciò che emergerà dallo scontro referendario, il quale non crediamo che modificherà comunque molto, preoccupa l’aggravarsi continuo della situazione internazionale. Anche in questo caso le “manifestazioni” servono più a far un po’ di spettacolo per l’eterna illusione che serva potere proclamare “noi non stiamo zitti” che non a far maturare una coscienza diffusa della pericolosità di quanto sta accadendo. Questa sarebbe la premessa necessaria per disporre di una politica che consenta all’Italia di prendere le misure giuste per prepararsi a fronteggiare un contesto che sta diventando sempre più difficile.

La chiave, a nostro modesto parere, è nella impossibilità per il momento di costringere Putin a ragionare. È sempre più evidente che lo zar di Mosca vuole ottenere la vittoria totale in Ucraina portando la guerra alle sue estreme conseguenze. Non vogliamo fare gli uccelli del malaugurio, ma ciò significa che ad un certo momento finirà per costringere un buon gruppo di Stati occidentali, probabilmente in qualche modo la stessa America, a scendere direttamente in campo, perché ci sembra difficile che possano accettare l’annientamento dell’Ucraina. Tutti sanno che anche se si piegassero a quell’esito sarebbe solo la premessa per la ripresa del confronto in altri scenari.

Strettamente connessa con questa vicenda è la questione israelo-palestinese. Netanyahu è un altro che non si riesce a fermare e che ormai ha un obiettivo più ampio che la sconfitta di Hamas: liberarsi della questione palestinese stroncando ogni ipotesi di un “focolare” per loro (per usare la definizione molto azzeccata del presidente Mattarella: dalla richiesta di un “focolare ebraico” era partita la creazione dello Stato di Israele). Anche in questo caso l’attuale gruppo dirigente di Gerusalemme persegue un obiettivo impossibile, perché alla lunga il sistema degli Stati del Medio Oriente non potrà accettare questa Israele dominante assoluta e riaprirà il confronto e lo farà in un contesto di equilibri geopolitici profondamente mutato.

Aggiungiamo in questa rapida e sommaria carrellata il problema della sfida che gli estremisti di destra stanno aprendo nell’Unione Europea: in Polonia ha vinto alle presidenziali, sia pure di un soffio (ma è preoccupante perché proprio questo lo spingerà a consolidare il suo radicalismo), un candidato ultra conservatore; in Olanda è saltato un governo che cercava di tenere sotto controllo il populismo fanatico della destra e probabilmente si andrà ad elezioni anticipate con la possibilità di una ulteriore affermazione di quelle componenti.

È in questo contesto che Giorgia Meloni incontra il presidente francese Macron. Si apre sempre più la questione di come si vuole posizionare l’Italia nella gestione del preoccupante contesto attuale: con il gruppo per così dire della sua tradizione occidentale, al momento ruotante intorno a Francia, Germania e Gran Bretagna col loro peso nella struttura UE, o scivolando nella perniciosa illusione, che tante volte non ci ha portato bene, che noi possiamo assumere una posizione peculiare e di guida solitaria portando gli altri oltre quel percorso?

Se avessimo ancora partiti degni di questo nome e classi dirigenti formate alla seria politica è di questo che si dovrebbe discutere ed è su questo che si dovrebbe costruire un consenso diffuso. Si capisce che argomentare su queste cose scalda meno le fantasie e i cuori che se li si lascia al tumulto degli istinti, ma è così che un Paese costruisce un futuro di sviluppo, per quante prove ciò necessariamente debba implicare.

vitaTrentina

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