Lo spunto
Gent. Franco, nella festa per i 120 anni della Famiglia cooperativa di Roveré della Luna, il parroco mons. Giulio Viviani ha offerto un intervento profondo sulla Lettera ai Filippesi: «Rendete piena la mia gioia con l’unione dei vostri spiriti» (Fil 2,2). Parole antiche, certo. Ma anche straordinariamente attuali. Un vero e proprio manifesto cooperativo, che ci parla di comunione, umiltà, servizio, partecipazione. Ci invita a superare rivalità e individualismi, a cercare il bene dell’altro, a ricostruire comunità vive e solidali. A riscoprire quella “spiritualità del noi” che ha ispirato le radici più autentiche della cooperazione trentina. Mi ha colpito però che nei resoconti stampa l’intervento di Viviani sia stato liquidato con una semplice formula: “Apprezzato, inoltre, l’intervento di mons. Viviani”. Eh no, troppo poco così, a mio avviso…
Giuliano Preghenella
La lettera di Preghenella prosegue con un appello alla Chiesa trentina (lo riprenderemo nel prossimo numero) richiamando l’attenzione su molti aspetti del percorso cooperativo che anche fra i soci suscitano interrogativi. In particolare, su decisioni e “razionalizzazioni” che possono provocare incertezza e malessere. Ci si chiede: la minor partecipazione alle assemblee deriva da disinteresse o da sfiducia? Ed è leale magari incentivarla con un pacco-dono? È corretto abolire un termine ai mandati dei consiglieri o rischia di perpetuare una casta di potere? E i rapporti con una visione etica della vita sono ancora importanti o le cooperative possono (devono?) essere considerate solo come attività economiche?
Emerge però una constatazione comune, che invita a fare attenzione nel giudicare per poi condannare. È giusto intervenire sulle manchevolezze, ma occorre fare attenzione alle analisi demolitorie (che non appartengono certo a questa lettera), ma finiscono poi strumentalizzate dai “nemici” della cooperazione. Ed essi sono molti ed agguerriti e comprendono lobby di potere finanziario e commerciale, multinazionali immobiliari e mediatiche, realtà dotate di immense liquidità dalla provenienza oscura.
Se è cambiata la cooperazione ancor più è cambiato il mondo. Sono cambiati gli stessi Trentini nel “comune sentire “ (come dice il preciso titolo dell’ultimo editoriale di Questo Trentino) prima che le Famiglie cooperative o le Casse Rurali dei paesi. Ma al tempo stesso proprio il malessere che la lettera porta alla luce conferma come, dalla produzione al consumo fino al credito, la presenza cooperativa sia ancora più necessaria di un tempo per dare radicamento e coesione al territorio, per non renderlo merce di scambio fra “comperati e venduti” o massa di consumatori in balia delle suggestioni “fake” della Rete.
Per fare questo la Cooperazione deve ripensare se stessa tornando ad affrontare non solo il difficilissimo contesto economico-politico in cui si trova ad agire, ma il tessuto sociale mutato, impaurito e impoverito dalle guerre sempre più vicine e minacciose, dalla crisi del lavoro e delle motivazioni giovanili, dai flussi finanziari che sembrano sostituire la propensione al risparmio, dagli egoismi personali che insidiano la “spiritualità del noi”.… I responsabili cooperativi conoscono questi problemi, e hanno gli strumenti per affrontare la loro complessità. Come diceva Alcide De Gasperi le scelte politiche ed economiche non devono servire ad ottenere una maggioranza per dominarle, ma a costruire un popolo, un sentire di popolo insieme.
È quanto si proponeva al fondo della sua azione don Lorenzo Guetti, è l’aspirazione di tanti messaggi che sulla cooperazione giungono, di cui la lettera di Preghenella fa quasi sintesi. è molto difficile costruire un popolo, oggi più che ai tempi dei “commontanari” di Guetti, ed è ancora più difficile “ricostruirlo” perché occorre non solo mantenere vivibili le valli di montagna, a fronte dei giovani che se ne vanno e dei turisti esigenti che arrivano, ma bisogna affrontare anche le realtà complesse delle città, i sobborghi pendolari, le carenze di chi non trova una casa…
In questa prospettiva la cooperazione va aiutata a crescere, ad affrontare la sfida di una sua “terza fase”.
La prima fase è stata quella del fondatore, di un Trentino povero che andava liberato dall’usura e riscattato dallo sfruttamento e dall’emigrazione. In questo percorso la scelta “aconfessionale”, il riferimento ad una spiritualità globale disgiunta però dal clericalismo è risultata decisiva, anticipatrice in un certo senso della sensibilità conciliare, anche se – ma non a caso per lo spirito che li animava e la preparazione che li sorreggeva – sono stati molti i sacerdoti fondatori e gestori di cooperative.
La seconda fase, alla metà del Novecento, ha visto invece la cooperazione affrancarsi da una immagine di minorità nei confronti dell’economia laica, delle realtà commerciali e bancarie di mercato (mentre sorgevano i primi supermercati i negozi cooperativi si chiamavano ancora “spacci”, numerati 1, 2, 3… come in caserma, dove si distribuisce il rancio, non il pranzo).
E similmente per le banche: gli istituti di credito del territorio erano la Btb e la Cassa di risparmio, ed appariva impensabile che nella loro rincorsa le casse rurali dei sobborghi riuscissero a raggiungerle, accreditandosi per affidabilità ed impieghi delle risorse locali, con la necessità poi di saldarsi in un “polo” centrale per rispondere ad una legislazione nazionale ed europea non certo favorevole ed amica. Negli stessi anni anche il consumo affrontava un’autentica rivoluzione con il progressivo indebolirsi (se non di fatto scomparsa) di una classe media di negozi e negozianti che le cooperative hanno di fatto, sostituito. Ora siamo di fronte all’avanzata “liberalizzata” di multinazionali, spesso a prevalenti interessi immobiliari, che esercitano pesanti, quasi insopportabili, concorrenze anche nei confronti dell’imprenditorialità privata più accorta, come al diffondersi di una distribuzione on-line che finisce per desertificare il contesto urbano, vie e piazze, sottraendo alle città non solo il loro tradizionale ruolo di mercato, ma di incontro sociale fra gli abitanti. è questo lo scenario che confronta oggi la cooperazione, è questa l’emergenza che la sua “terza fase” deve affrontare. Ma per affrontarla occorrono alcune precondizioni, che richiedono ulteriore spazio e che riservo quindi alla prossima tappa di questi “Sentieri”.