Si chiama “Al di là” la lettera alla comunità scritta dall’arcivescovo di Trento, monsignor Lauro Tisi, e presentata in occasione della festa di San Vigilio.
“L’ho intitolata così perché vorrebbe essere al di là di me. Perché se vado al di là di me faccio fiorire la vita, mentre se rimango attorno a me stesso muoio”, ha spiegato don Lauro. “Questo è il concetto di fondo, che credo possa valere per credenti e non credenti, e che mi ha spinto a scrivere sul morire”.
La prima esperienza che viene raccolta in una lettera è quella di una madre incontrata dall’Arcivescovo in occasione dell’inizio della sua Visita pastorale. La signora, colpita da una malattia improvvisa e aggressiva, ha chiesto a don Lauro di conferirle l’unzione degli infermi davanti ai suoi quattro figli. “Ci tengo a mostrare loro come si può compiere l’ultimo passo da credenti. Nella certezza che non potrà essere l’ultimo”, ha spiegato la signora a don Lauro.
Ma nella sua lettera l’Arcivescovo ricorda altre madri. “A quelle – e sono almeno un milione – che in questui anni hanno pianto un figlio morto in guerra sul fronte russo-ucraino“, scrive. Il ricordo va anche ai “ventuno bambini israeliani rimasti orfani dell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 con milleduecento morti” e alle “migliaia di piccole vittime (sugli almeno quarantamila morti palestinesi) dell’infinita rappresaglia israeliana nella Striscia di Gaza”.
Nella lettera c’è un ricordo commosso di don Mauro Leonardelli, morto il 26 aprile 2025, “pastore tanto amato nella sua semplicità e concretezza” che “se ne è andato nella notte, in punta di piedi, com’era nel suo stile”. “Non posso tacere – scrive don Lauro – la lezione di fede e di vita offerta da don Mauro, fin dai primi momenti della malattia. A chi lo incontrava, egli ripeteva di non provare alcuna rabbia né nei confronti di Dio, né della vita. Più volte mi ha confidato di sentir risuonare dentro di sé le parole di Simeone: ‘Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola’. ‘Di questa parola – aggiungeva – mi fido. A questa parola m’affido. La serenità che mi abita non viene da me, è dono di Dio”. La malattia, repentina e durissima, non ha piegato il suo cuore. Ne ha rivelato la profondità incredibile. Egli ci ha indicato ciò che conta davvero per vivere. Negli ultimi colloqui mi confidava di aver messo ordine nella vita perché ne aveva compreso le priorità: i volti, le persone, il voler bene. Per lui l’ordine era l’amore. Nient’altro”.
La lettera si chiude con la testimonianza dei genitori di Sara Piffer, la ciclista morta nel gennaio scorso, travolta da un’auto mentre si allenava. A celebrare il suo funerale è stato proprio don Mauro Leonardelli, che 19 anni prima l’aveva battezzata. “Ho avuto modo di conoscere a fondo i genitori di Sara: Marianna e Lorenzo”, scrive don Lauro. “Il loro sguardo riflette quello speciale della figlia. Per custodirne la memoria, mamma e papà non hanno esitato un istante nel perdonare l’investitore. Lorenzo e Marianna, insieme agli altri tre loro figli, non avrebbero forse compiuto con serena naturalezza quel gesto, se non avessero avuto la certezza che Sara per prima non avrebbe mai condannato l’uomo che colposamente le aveva tolto la vita”.