L’intervento di Giorgia Meloni in Parlamento come preparazione della sua partecipazione prima al vertice Nato e poi al Consiglio Europeo avrebbe meritato un’attenzione non faziosa. La presidente del Consiglio è apparsa consapevole, pur senza dirlo esplicitamente, perché non lo consentono le regole della politica, che il nostro Paese è di fronte ad una situazione internazionale molto difficile per cui non può fare più di tanto visto il suo rango oggettivo. Ha giustamente messo in luce la pericolosità della situazione verso cui si avviava l’Iran, ha ribadito che Israele non ha titolo né legittimità per occupare Gaza invocando la soluzione dei due popoli, due Stati, ha garantito che se l’Italia venisse in qualche modo coinvolta in future operazioni militari passerà per il voto di autorizzazione parlamentare (non ha resistito a puntualizzare che altri governi non l’hanno fatto: vedi D’Alema).
Se fosse stata chiamata a fare un comizio o una riflessione accademica avrebbe certo potuto dire di più e articolare meglio, ma parlando come vertice dell’esecutivo era quasi il massimo possibile se voleva essere responsabile (come, pare, le abbia raccomandato autorevolmente e amichevolmente Mattarella). Le opposizioni, che ormai in generale hanno perso capacità di fare politica, non se ne sono date per intese e non hanno rinunciato al comizietto alla caccia di voti nell’arcipelago, peraltro confuso e poco omogeneo, dei pregiudizi di moda (è troppo definirli passioni popolari). Poi in Senato anche la premier si è lasciata andare ad un po’ di polemica: il sangue non è acqua e il DNA si controlla fino ad un certo punto.
Sembra che sia sfuggito a molti che Meloni ha invitato a tenere presente l’emergenza della situazione in Libia: è un tema delicato e centrale per noi, ma che scalda poco la pancia dei vari antagonismi a prescindere. Neppure nella sua maggioranza il governo può sentirsi sicuro, perché è sotto gli occhi di tutti il filo-putinismo, che a volte diventa filo-trumpismo strumentale, della Lega salviniana. Nell’occasione parlamentare quella componente è stata abbastanza cheta, visto che a fare i fuochi d’artificio provvedeva un’opposizione sempre più sgangherata.
Il culmine l’hanno raggiunto Conte e i Cinque Stelle con una mozione che, ha ragione Calenda, sembra scritta sotto dettatura di Putin, visto che fra il resto invita a tornare ad acquistare il gas russo. Ormai quella componente ha imboccato una deriva demagogica che va quasi oltre il peggior grillismo: anti guerra, anti Nato, mito dell’investiamo in sanità anziché in armi, e avanti di questo passo. Come con una posizione del genere Conte possa ambire ad essere, se non gli riuscirà di essere il premier, almeno il ministro degli Esteri del futuro ipotetico governo di sinistra non è comprensibile: il posto dell’Italia nel quadro internazionale sarebbe a livello della barzelletta come accadde con l’ultima fase di Berlusconi premier.
L’estrema sinistra di AVS segue sia pure con qualche minore scivolata almeno verbale, ma anche in questo caso non è facile capire dove sia finita una tradizione di confronto con la politica internazionale presente per esempio fra alcuni dirigenti dei Verdi che pure era di alto livello, anche se si poteva dissentirne.
Naturalmente la grande incognita rimane la posizione del PD che è sempre legato ad una specie di riedizione del famoso né aderire, né sabotare. Per quanto riguarda la mozione dei 5S sul ritorno all’acquisto del gas russo il partito della Schlein ha votato contro, su quasi tutto il resto si è astenuta. In sostanza le opposizioni hanno presentato cinque diverse mozioni.
Eccetto quella di Calenda, le altre non sono state capaci di cogliere le parti positive della posizione del governo anche solo per incalzarle con una richiesta di approfondimenti e non sono andate oltre il livello degli slogan di principio.
I cosiddetti realisti ci spiegheranno che nella polarizzazione attuale, con importanti elezioni regionali ormai alle porte, forse con l’ipotesi di una riforma elettorale che rilancerà la competizione proporzionale fra i partiti, era impossibile attendersi sia cedimenti verso “il nemico”, perché il voto è ormai per lo più un voto di pasdaran e di pancia (gli altri sempre più si astengono), sia prese di distanza all’interno del fu campo largo, perché il PD sa che senza M5S si perde (e questo consente a Conte di fare quel che vuole senza pagare dazio – ma il dazio lo pagherà il partito di Schlein).
Poi però non lamentiamoci se nei consessi internazionali l’Italia conta pochino.