lo spunto
Nella recente festa per i 120 anni della Famiglia cooperativa di Roveré della Luna, come già riportato, il parroco mons. Giulio Viviani ha offerto un intervento profondo sulla Lettera ai Filippesi, che ci parla di comunione, umiltà, servizio, partecipazione. è stato un richiamo necessario in un tempo in cui il senso di appartenenza svanisce, e partecipazione e corresponsabilità rischiano di diventare vuoti slogan.
Scrivo quindi questa lettera alla nostra Chiesa trentina, ai suoi pastori, a chi custodisce da sempre le radici più profonde del nostro territorio: la cooperazione è anche cosa nostra. È nata – anche – grazie all’anima di tanti sacerdoti, parroci, curati di campagna, che hanno creduto in un’economia diversa, più umana, più giusta, più comunitaria. Che l’hanno seminata nei paesi, nelle canoniche, nei circoli, tra la gente. Facciamolo presente alle nuove generazioni. Non facciamoci silenziare. Facciamoci sentire di più.
Offriamo più spesso, anche nelle assemblee cooperative, e sui media una parola spirituale che accompagni e ispiri, che ridia senso alla partecipazione. Che aiuti a capire che andare a un’assemblea è ancora un gesto importante – anche senza buoni spesa. Solo per il fatto di esserci. Di sentirsi parte di un popolo che sogna e costruisce, con fatica, un domani che però non possiamo costruire da soli. Abbiamo bisogno che la voce della Chiesa torni a illuminare il cammino della cooperazione. Non con analisi economiche o documenti tecnici, ma con parole vere, evangeliche, anche scomode se serve, ma che aiutino tutti – soci, dirigenti, istituzioni – a ritrovare lo spirito e il cuore di ciò che conta davvero: l’uomo, la comunità, il bene comune.
Giuliano Preghenella
L’avanzata “liberalizzata” di multinazionali, gli interessi immobiliari, una distribuzione on-line che desertifica il contesto urbano: è lo scenario con cui si confronta oggi la cooperazione, l’emergenza che la sua “terza fase” – come l’abbiamo definita nel numero scorso – deve affrontare. Per farlo, scrivevamo, occorrono alcune precondizioni. Vediamo quali.
Per le nuove sfide che si aprono occorre innanzitutto che la cooperazione consolidi le sue strutture portanti, funzionali e gestionali, il suo capitale “indivisibile e invendibile”, che è la sua forza e sempre più la sua ragione d’essere: perché se un tempo occorreva tutelare le risorse del territorio dai “baroni”, dai padroni e dagli usurai, oggi bisogna difenderle dai nuovi oligarchi più o meno virtuali e disporre di una liquidità propria per gli investimenti, perché non è realistico aspettarsi da nessuno una mano “esterna”.
Occorre insomma “mettere fieno in cascina”, come usano dire gli imprenditori padani, e al tempo stesso preparare un gruppo dirigente adeguato alle nuove complessità gestionali, burocratiche, giuridiche ed anche relazionali che si prospettano.
Per affrontare la “terza fase” occorrono competenze che superano il buon senso del bravo padre di famiglia (o del bravo parroco) e si richiede invece un’esperienza allenata anche all’intessere relazioni che non si improvvisano, che richiedono tempo per essere costruite. Anche per questo a volte il ricambio cooperativo è lento, mentre i soci hanno imparato che non sempre il nuovo è meglio del già visto, che spesso, come sapevano e dicevano le passate generazioni “non c’è limite al peggio”.
Perché, poi, l’altro problema che si pone, dato il successo che la cooperazione ha avuto nel Trentino nel suo passaggio da realtà valligiana a complessiva attività multisettoriale, è il saper trasformare i clienti in soci. E per questo, non potendo (giustamente) le cooperative distribuire dividendi e utili, un pacco alimentare omaggio dato a chi si sente socio tanto da partecipare ad una assemblea, ben difficilmente può essere interpretato come un tentativo di corruzione, ma ben più probabilmente può essere visto come un dono, un riconoscimento di partecipazione, di sentirsi insieme in un progetto comune rifiutando di farsi catturare dal “dumping” dei prodotti civetta o degli sconti mirati.
Se poi una nuova fase di comportamenti individuali va ricercata insieme per raggiungere una nuova economia globale, per dare pienezza a quell’economia civile che studiosi come Stefano Zamagni, Leonardo Becchetti e Luigino Bruni hanno anticipato e stanno definendo nelle loro università e nelle loro testimonianze in mondi che non sono soltanto di cooperazione, ebbene, occorre allora tornare a riferirsi anche ad una visione del vivere, dell’operare e del comperare, che non sia solo utilitaristica, ma vada al fondo della condizione umana anche nella sua spiritualità e fraternità, com’era nelle motivazioni dei fondatori. Essi vollero immettere nella cooperazione un umanesimo integrale in grado di coinvolgere non solo gli addetti al lavoro del commercio e del credito, ma le realtà più vaste dell’essere uomini, donne e bambini, del crescere insieme dell’ “io” che diventa una costruzione del “noi”.
Sotto questo aspetto il richiamo di Viviani costituisce un buon sentiero per guidare gli uomini di buona volontà a riflettere sui valori e sugli impegni sociali che costituiscono il tessuto connettivo di esistenze degne, da San Paolo fino ai nostri tempi, dal piegarsi sugli infermi del Buon Samaritano alla “Rerum novarum” fino all’attuale pontefice che assumendo il nome di Leone proprio a questa enciclica ha voluto ispirarsi. Un’altra finestra che si spalanca sugli orizzonti della “terza fase” cooperativa.