Tisi: “A Stava l’uomo ha usurpato il Creato”

Dopo la tradizionale Via Crucis notturna fino salita ieri sera alla chiesetta della Palanca sopra Tesero, questa sera nella chiesa di Sant’Eliseo il quarantesimo della tragedia Stava ha vissuto il momento religioso più intenso con la Messa presieduta dall’Arcivescovo di Trento, mons. Lauro Tisi. Accanto a lui il parroco don Albino Dell’Eva, altri sacerdoti collaboratori e il coro parrocchiale che ha animato la celebrazione.

Nel suo saluto iniziale il sindaco di Tesero Massimiliano Deflorian si è rivolto ai familiari delle vittime, ringraziando anche la delegazione della comunità gemellata di Longarone. Ha ricordato “il coraggio, la solidarietà e la dignità con cui questa comunità ha saputo rialzarsi” ed ha ripreso da Mattarella l’invito a “coltivare una cultura della prevenzione e del rispetto dell’ambiente”, rinnovando l’impegno affinchè non vi sia “mai più una Stava, mai più dolore che poteva essere evitato”.

Nell’ omelia mons. Tisi è partito dalla “ferita indelebile che ha segnato per sempre l’esistenza di tanti familiari”, per offrire  una riflessione di speranza, accostando la tragedia di Stava alla pagina evangelica delle Beatitudini che offre un “formidabile percorso di vita”.

Cominciando da “beati i poveri di spirito”, Tisi ha rilevato che a Stava 40 anni fa “è mancata la dimensione della povertà nello spirito, che fa del primato del valore della persona la sua stella polare. Per ripiegare, drammaticamente, nella ricerca del profitto ad ogni costo e nell’interesse di pochi”. A proposito dei  miti ha aggiunto che “è venuto meno il dialogo con il Creato, la sua armonia, i suoi ritmi e le sue leggi, lasciando spazio all’arroganza dell’uomo che, anziché interagire con il Creato, ne diventa usurpatore”Ha proseguito con “la mancanza di ascolto di chi – i puri di cuore, nella semplicità, avvertiva i segnali di un pericolo incombente.

Tra i misericordiosi ha ricordato “i tanti uomini e donne che in quelle ore drammatiche si sono fatti concretamente carico del dolore sepolto dal fango, diventa per noi salutare punto di riferimento perché la memoria di quanto accaduto si faccia viatico per una modalità diversa di abitare l’umano”.

Gli operatori di pace, infine,  sono “quanti sanno porre gesti di riconciliazione e di pace, liberando dono di sé, gratuità, impegno resiliente a farsi prossimo degli altri. Nella consapevolezza che, ogni volta in cui il volto dell’altro viene sfregiato, siamo tutti perdenti”.

 

 

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