Gli storici non sono semplicemente studiosi del passato. “Sono intellettuali del loro tempo, della contemporaneità. E tutto ciò che indagano del passato, lo indagano perché vivono la realtà che osservano”. Lo ha detto la storica Michela Ponzani, ospite dell’Agosto Degasperiano nel Parco delle Terme di Levico lunedì 4 agosto.
In un tempo in cui “la guerra è tornata nel nostro orizzonte culturale, nelle nostre vite e nella nostra quotidianità attraverso notizie terribili di crimini nei confronti dei civili”, Ponzani ha parlato di un massacro che appartiene alla storia della Seconda guerra mondiale: il massacro delle Fosse Ardeatine, durante il quale, il 24 marzo 1944, furono uccisi 335 civili e antifascisti italiani. A quell’eccidio la storica romana, insegnante all’Università Tor Vergata di Roma, ha dedicato la sua tesi di laurea e, più recentemente, un libro edito quest’anno da Einaudi, dal titolo “Donne che resistono. Le Fosse Ardeatine dal massacro alla memoria. 1944-2025”.
Le madri e le vedove che reclamarono una degna sepoltura per i propri cari somigliano ad Antigone, che chiede sepoltura per il fratello Polinice. La sepoltura, ha ricordato Ponzani, restituisce dignità ad un corpo. “Mettere sotto terra un corpo è diverso dal dargli una degna sepoltura. Quando noi diamo sepoltura al corpo di qualcuno che abbiamo amato, con il quale abbiamo avuto un legame, vogliamo serbarne un ricordo. Dare sepoltura a qualcuno è un atto d’amore, di estrema riconoscenza verso la sua identità, verso ciò che quel qualcuno è stato per noi”. Nel caso del massacro delle Fosse Ardeatine, però, dare un nome a tutte le ossa – un’operazione estremamente complicata in un periodo in cui ancora non esisteva la prova del dna – e seppellire le vittime significava anche “conservare la memoria non solo per l’Italia di quel tempo, ma anche per le generazioni future”.
Ponzani ha ricordato di quando, a poco più di sei anni, si è recata per la prima volta a visitare il mausoleo dedicato alla strage assieme al nonno, uno degli ultimi sopravvissuti al bombardamento su Roma del 19 luglio del 1943. “Di quella visita – ha detto – ricordo il buio delle cave, l’odore tetro e il dolore che si respirava attraversando quei sacelli ad uno ad uno. Ricordo che partimmo con un fiore, un garofano rosso che mio nonno voleva consegnare ad un amico. Mio nonno in quella strage aveva perso uno dei suoi più cari amici, che era stato uno dei comandanti partigiani a Roma, nel quartiere di San Lorenzo, il più colpito dalle bombe del 19 luglio del 1943. Era un uomo buono, un medico. Aveva aiutato gli abitanti del suo quartiere a curarsi gratuitamente. Poi era stato catturato da una spia, portato nel carcere nazista di via Tasso e sottoposto a terribili torture. E all’alba del 24 marzo del 1944 era stato portato a morire insieme ad altri 334 uomini in quelle cave di pozzolana abbandonate in una via al tempo periferica: la via Ardeatina”.
Non è l’unico ricordo personale che s’intreccia con la storia collettiva del Paese citato da Ponzani. La storica ha parlato anche del momento in cui, bussando alla porta dell’Anfim (Associazione nazionale famiglie italiane martiri), incontrò Rosetta Stame, la figlia del tenore Nicola Ugo Stame, morto nel massacro, venuta a mancare nel 2019. In uno degli ultimi incontri con la figlia, il tenore le disse: “Vedi, bambina mia, io sto qui perché tutti i bambini come te possano vivere in un mondo libero e giusto”. E poi è stata ricordata un’altra figura, quella del giovane Gastone De Nicolò, l’ultima vittima del massacro delle Forze Ardeatine. Morì a soli 19 anni. “Tutto quello che è stato restituito a sua madre stava in una cassettina: un pezzo di femore, un lembo di pigiama e una ciocca di capelli completamente bianca perché, nonostante la giovane età, il ragazzo, che aveva assistito per ore ed ore a quel massacro, non aveva retto all’orrore e alla paura. I suoi capelli, quindi, si erano improvvisamente imbiancati”, ha ricordato Ponzani.
Il filo rosso che collega la strage progettata dai tedeschi in risposta all’attentato di via Rasella – in maniera completamente sproporzionata perché, ha ricordato Ponzani, il rapporto era di dieci italiani uccisi per ogni tedesco ammazzato – è quello della memoria. “Noi oggi siamo un Paese dalla memoria non pacificata, dalla memoria divisa, che sconta anche una terribile politica della memoria, un terribile uso pubblico e politico della storia”, ha affermato la professoressa dell’Università Tor Vergata. E qui il collegamento con il presente. “Siamo il Paese delle stragi nazifasciste: è un’eredità che non possiamo e non dobbiamo dimenticare. Ma siamo anche il Paese delle stragi neofasciste. Qui si aprirebbe un altro capitolo, visto che abbiamo celebrato da qualche giorno l’anniversario del 2 agosto del 1980, quando una terribile esplosione fece saltare in aria una sala d’aspetto alla stazione di Bologna, provocando 85 morti e oltre 200 feriti. E le istituzioni di questo Paese ancora tentennano, in maniera assai incomprensibile, sulle responsabilità di chi quel massacro lo commise e si permettono ancora oggi di negare delle verità che non sono attribuite, ma accertate, perché la magistratura ha fatto il suo corso. Le istituzioni due Paese che si chiama Italia repubblicana dovrebbero non solo rispettare i morti: dovrebbero rispettare anche i loro discendenti e i familiari di quei morti. Perché senza quei familiari, che molto spesso si sono battuti da soli nelle aule di tribunale per avere verità e giustizia, noi la verità non l’avremmo saputa”.