Una giovane trentina sulla “barca di papa Francesco” per la pace

A sinistra, Maria Chiara Cattani, la trentina che ha partecipato ad una tappa di Med 25 Bel Espoir

Il Mediterraneo, culla di grandi civiltà, diventa una palestra per costruire la pace, recuperando la cultura del dialogo e dell’incontro. A partire da chi costituisce il presente e il futuro dei Paesi che si affacciano sul “Mare nostrum”: i giovani. In duecento, di diverse culture, provenienze e religioni, sono quelli coinvolti nel progetto Med 25 Bel Espoir che, iniziato a marzo, si concluderà ad ottobre 2025.

Ha partecipato alla sesta tappa anche una ragazza di Trento, Maria Chiara Cattani, 21 anni, studentessa di Medicina e Chirurgia all’Università di Ferrara. Dal 3 al 17 agosto, Maria Chiara ha avuto l’opportunità di viaggiare con altri 19 ragazzi sulla goletta Bel Espoir, costruita in Danimarca nel 1944, durante l’occupazione nazista. A fare da filo rosso al viaggio, che ha avuto come tappe Tirana, Durazzo e Trieste, è stato il tema delle migrazioni. “Ho sempre affrontato questo argomento partendo dal punto di vista dell’Italia. Tutto ciò che leggo e che ascolto in televisione parte da questa prospettiva. È stato molto interessante sentire come altri Paesi affrontano le nostre stesse sfide migratorie”, ci racconta Maria Chiara. E i punti di vista presenti erano davvero tanti: c’erano giovani dalla Spagna, da Malta, dalla Tunisia, dall’Algeria, dalla Bosnia, dalla Palestina, dall’Egitto e dal Libano. Tutti uniti dall’invito lanciato dalla Diocesi di Marsiglia insieme alle associazioni Mar Yam e Bel Espoir – AJD, e ispirato da Bergoglio. “Il Papa mi ha chiesto di promuovere un lavoro preparatorio per quella che potrebbe essere una rete del Mediterraneo”, aveva raccontato, presentando l’iniziativa, l’arcivescovo di Marsiglia, Jean-Marc Aveline. Proprio Francesco, all’incontro Med24, aveva esortato i giovani: “Voi, la nuova generazione, siete il futuro della regione mediterranea”.

La giovane trentina ha saputo dell’esperienza attraverso il Movimento dei Focolari, di cui fa parte. Non era la prima volta che faceva esperienze di volontariato internazionale: quest’estate è stata in una clinica del Kenya al confine con la Tanzania, mentre l’anno precedente ha partecipato al Genfest in Brasile, presentando servizio al Sermig di San Paolo. L’esperienza di vivere in barca insieme a giovani da tutto il mondo, però, è stata particolare: “La barca è simbolo del fatto che il mare non ha confini, che unisce tutti noi che abitiamo sulle sponde del Mediterraneo”, afferma Maria Chiara. “In più vivere in barca ti mette alla prova: ci si trova in uno spazio ristretto, ognuno con le sue abitudini e con le sue idee, e bisogna provare a convivere e a trovare un modo per dialogare. È capitato che scarseggiassero acqua ed elettricità. In quelle occasioni era fondamentale supportarci a vicenda. E il fatto di essere in barca ci ha aiutati a creare dei legami più profondi. Eravamo immersi in un ambiente che una persona del gruppo ha definito una culla. Dormivamo sotto le stelle e sotto la luna e viaggiavamo in mare. Essere immersi nella natura ci ha spinti a sentirci più uniti. Come popoli del Mediterraneo, ma anche come esseri umani”.

Tanti gli incontri che si sono susseguiti, tra cui uno dedicato alla storia dell’immigrazione albanese in Italia. “È stato molto interessante l’incontro con l’associazione Linea d’ombra odv, che opera a Trieste ed aiuta i migranti che attraversano la Rotta balcanica”, commenta Maria Chiara. “Ci hanno raccontato che hanno iniziato ad andare al Silos, un vecchio parcheggio, per curare i piedi delle persone, pieni di ferite per il lungo viaggio e per le torture subite in Libia. In questo modo hanno creato un legame con loro, e adesso si occupano del primo soccorso e dell’accoglienza. Ogni sera vanno in piazza Libertà, a Trieste, e portano loro bevande e cibo. Una sera siamo andati con loro: un’esperienza molto toccante, di aiuto concreto”.

Oltre alle storie incontrate ad ogni tappa sulla terraferma, ci sono anche quelle che hanno accompagnato il viaggio. C’è quella di due ragazze di Betlemme, dove la situazione è tranquilla rispetto al resto della Palestina. “Uscire dal Paese, però, è stato molto impegnativo per loro: hanno rischiato di non poter venire, perché hanno avuto solo un giorno per attraversare il confine”, racconta Maria Chiara. E poi c’è quella di un’altra ragazza, originaria del Marocco, a cui l’Italia ha rifiutato il visto per poter partecipare al progetto: “È stata con noi solo in Albania, nonostante avesse tutte le carte in regola e l’iscrizione ufficiale all’iniziativa. L’abbiamo lasciata a Durazzo. È stato abbastanza triste”, dice la 21enne. “In questo viaggio – ammette – ho capito veramente quale sia il privilegio di cui godiamo noi europei, che possiamo viaggiare facilmente anche solo con la carta d’identità”.

L’esperienza non si conclude qui. Il 25 ottobre, infatti, la Bel Espoir salperà nel porto di Marsiglia per concludere l’esperienza, e ci sarà un ritrovo tra tutti i giovani che hanno partecipato alle sessioni. “Spero proprio di riuscire ad andarci”, conclude Maria Chiara. Che, come tutti i partecipanti, cercherà di raccontare a più persone possibili anche qui, “a casa”, l’avventura vissuta sulla “barca di papa Francesco”.

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