Chi ci capisce qualcosa è bravo, verrebbe da scrivere per lo sconforto di fronte ad un quadro difficilissimo da interpretare: certamente per lo scenario internazionale, ma vale, nelle debite proporzioni, anche per quello italiano.
Sebbene da un certo punto di vista nella drammatica situazione della guerra in Ucraina tutto sia congelato e altrettanto accada nella tragedia di Gaza, abbiamo passato un mese in cui era sembrato che qualcosa potesse sbloccarsi. Pur facendo la tara a tanta scenografia, anche poco gradevole, ci si era illusi che Trump avesse maturato una visione più realistica della politica russa, che avesse rivalutato Zelensky e la sua azione, che avesse preso atto di una certa capacità europea di dare un contributo alla stabilizzazione del quadro internazionale. Tutto dissolto, perché di fronte alla stupida caparbietà di Putin nel voler portare a casa il suo obiettivo massimo (la disintegrazione dell’Ucraina da ridurre ad una enclave vassalla), il tycoon si è fatto prendere dal fascino per l’uomo forte ed ha voluto mostrarsi in grado di rivaleggiare quanto ad imporre personalismi fuori della realtà.
Al momento la situazione è che lo zar di Mosca va avanti caparbiamente coi suoi piani, circondandoli pro forma di qualche nebbia per negoziati molto futuri e molto ipotetici, e la Casa Bianca non sa che politica proporre, perché deve salvare il principio che è una grande potenza che può fare quel che le pare e piace. Ovviamente con questa prospettiva non c’è possibilità di costruire un futuro ragionevole.
Quanto a Gaza, siamo anche lì di fronte al dominio delle utopie catastrofiste. Netanyahu non demorde dal disegno di arrivare alla soluzione finale della questione palestinese: nell’illusione di accontentare il sogno ultra integralista del neo sionismo messianico, pensa anche di passare alla storia come colui che ha sistemato per sempre una questione epocale. Se un po’ di storia l’avesse studiata, saprebbe che così si finisce sempre in un disastro.
Ovviamente è aiutato da chi sul fronte opposto ha, con polarità invertite, il medesimo sogno: cancellare Israele, e pazienza se questo significa sacrificare su quell’altare la vita di molte migliaia di persone. Di questo assurdo disegno Hamas è solo la componente più visibile e più rozzamente integralista, ma i veri burattinai, più o meno ambigui, sono i neo-imperialismi dell’area mediorientale a cui non dispiace la delegittimazione internazionale in cui è caduta Israele, mentre non hanno alcuna volontà di aiutare i palestinesi ad avere per loro un vero Stato democratico moderno.
Di fronte a questo scenario è deprimente guardare a quanto accade nella politica italiana. Mentre la presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri fanno quel poco che ci è possibile per stare almeno ai margini del grande gioco, i partiti, di maggioranza come di opposizione, si baloccano nella solita politica estera a base di luoghi comuni (alcuni lo fanno con un po’ più di stile, altri con il linguaggio sciatto dei talk show o con quello ancora peggiore delle battute a pro dei social). Si sa bene che il nostro paese non è in grado, sia per limiti intrinseci, sia per l’inesistente coesione dell’opinione pubblica nel valutare la serietà della situazione, di fare più di tanto e che siamo stretti fra un gioco europeo che fatica a prendere veramente forma e una ancora esistente dipendenza dal riferimento americano che non si può ridurre.
Ma non è di questo che veramente si discute nella politica nostrana, che è di fatto prevalentemente concentrata ad occuparsi della lunga tornata di elezioni regionali che avremo fra settembre e novembre. Da ciò emerge il quadro di una classe politica capace di accreditarsi per il governo di una contingenza complicata? Non pare proprio, visto che la questione preminente è come piantare bandierine pseudo identitarie (in realtà idolatrie di luoghi comuni della più bell’acqua) e come spartirsi i posti occupabili.
Certo non danno esempio di statisti quei politici aggrappati alle loro rendite di posizione o interessati a mettere il proprio cappello sulle sedie disponibili, pronti a presentare questi appetiti come strategie nell’interesse pubblico. Non sappiamo come i vertici dei partiti possano pensare che comportamenti simili possano incentivare il ritorno alla partecipazione elettorale, ma temiamo che la verità sia banale: meno gente partecipa alle elezioni, più spazi ci saranno per clan, corporazioni e lobby.