Come ampiamente previsto, anzi scontato, il premier francese Bayrou è uscito a pezzi dal voto di fiducia che egli stesso aveva chiesto al parlamento. Non può essere un mistero la ragione che lo ha spinto a questo passo: sapeva benissimo come sarebbe andata a finire (è un politico con una lunga navigazione sulle spalle), ma, come si è visto dal suo discorso, coraggioso, aveva colto il tornante decisivo: la Francia non può continuare senza affrontare il problema della sua crisi, innanzitutto economica, ma parallelamente politica. Ciò significa fare riforme che cambino il sistema della spesa pubblica, in gran parte per il welfare.
Molto meno “Stato Provvidenza” come lo chiamano da quelle parti e accettazione di mutamenti che si lasceranno alle spalle gli anni della grande opulenza. Per la verità, quegli anni sono tramontati da un pezzo, ma la gente non vuole accettarlo e i partiti sono spinti a cavalcare, chi più, chi meno, questo rifiuto di arrendersi alla nuova fase.
Bayrou ha preferito che fossero i partiti ad assumersi davanti alla storia la responsabilità del rifiuto dei “sacrifici” in nome del mantenimento di un sistema in qualche modo in equilibrio, piuttosto che lasciare che le forze politiche potessero caricare un colpo dopo l’altro tutte le colpe sulle sue spalle. E ciò è esattamente quel che è accaduto. La tenaglia dei due populismi, quello di destra del Rassemblement National e quello di sinistra (si fa per dire) della France insoumise di Melenchon, si è abbattuta sul governo togliendo la possibilità alle più ragionevoli forze esterne al fronte del partito di Macron (socialisti e repubblicani) di restare su un carro che si avviava ad essere travolto dalle inquietudini popolari.
Lo spettro della grande manifestazione organizzata dietro lo slogan “blocchiamo tutto” ha impedito qualsiasi ipotesi di sostegno ad un governo in carica che era stato delegittimato dal malcontento popolare aizzato dalle estreme. Come finirà è difficile da prevedere.
Le Pen e i suoi chiedono le elezioni anticipate, Melenchon chiede in più le dimissioni di Macron e nuove elezioni presidenziali. Per la Francia così sarebbe un salto nel buio, ma gli ampi poteri di cui gode il presidente della repubblica non sono sufficienti a superare lo scoglio di un parlamento che è, a detta di tutti gli osservatori, ingovernabile. Le preoccupazioni per questa situazione sono diffuse anche fuori della Francia.
Macron è un attore importante nella gestione della politica europea assieme a Merz e a Starmer. Ora lui è messo male, ma i suoi due alleati non vivono un momento fortunato: il cancelliere tedesco ha difficoltà sia con la sua coalizione per le debolezze della SPD, sia per la concorrenza sempre maggiore della estrema destra della AfD; il premier britannico ha appena dovuto fare un rimpasto di governo, ha un rating molto basso di gradimento nei sondaggi, a cui si aggiunge il crescente peso del partito demagogico e populista di Nigel Farage. Non è quella che si dice tecnicamente una bella costellazione.
A casa nostra possiamo certo prenderci la soddisfazione di essere messi meglio dei maestrini di Parigi che ci hanno fatto spesso le pulci (anche con scarso fair play), ma non possiamo ignorare che una situazione di instabilità in Francia si rifletterebbe non solo sull’Europa, dove non possiamo certo pensare di poter giocare un ruolo in solitaria, ma anche su casa nostra. Avverrebbe sia perché la nostra economia ha ovviamente legami con quella del vicino d’Oltralpe (così come altre economie UE: in questo momento ci manca solo un contagio allargato), sia perché, come ci mostra la storia, le pulsioni rivoluzionarie francesi (vogliamo chiamarle così?) si riflettono sempre nelle nostre opinioni pubbliche.
Anche a prescindere dai legami che per esempio Salvini ha con Le Pen, il populismo di Melenchon trova orecchie sensibili a sinistra, così come le insorgenze popolari vengono viste da varie parti con un certo favore, per non dire di peggio (qualcuno ricorda il viaggio di Di Maio e Di Battista a Parigi per incontrare i “gilet gialli”?).
Macron è un combattente e non c’è dubbio che cercherà di reagire alla situazione, ma non è nelle migliori condizioni per farlo. C’è da sperare che da un lato ci siano ancora in Francia abbastanza forze politiche responsabili che si rendono conto della posta in gioco, e che dall’altro in Europa si sia consapevoli che lasciare la Francia ad affrontare da sola questa difficile contingenza non sarebbe davvero una scelta lungimirante.