La politica dello scontro alla lunga non paga

La politica italiana fatica a liberarsi dal mito dello scontro creativo. Non che sia una novità assoluta, perché è relativamente una costante della vita pubblica in contesti di democrazia competitiva, ma certo oggi sta raggiungendo livelli che tendono ad andare oltre quello di guardia. Preoccupa soprattutto che tenda a non essere più un fenomeno circoscritto a momenti di particolare tensione in cui si può perdere il controllo dei freni inibitori, ma altrettanto che si teorizzi ormai, più o meno apertamente, che sia la modalità inevitabile in tempi di difficile mobilitazione politica.

Alla fine di questa settimana avremo qualche prova della verità o meno di questa convinzione, perché il test delle regionali nelle Marche ci fornirà qualche spunto per capire lo stato dell’opinione pubblica. Diciamo subito che il test è relativo, sia per la dimensione non ampia del campione, sia per la natura specifica di quella regione, interessata da squilibri interni non piccoli (il nord attratto dal modello romagnolo e con un turismo vivace, il sud che sembra preda di una certa apatia e un centro che soffre la crisi del piccolo miracolo industriale di quello che era un distretto industriale vivace oggi in declino). Tuttavia qualche elemento su cui riflettere ci sarà.

Il primo riguarderà la tenuta delle due coalizioni contrapposte. Il destra-centro mette in campo sia una buona performance del governo nazionale, sia una tensione non irrilevante fra le sue componenti. In grazia della prima ha potuto portare in dote al suo governatore che cerca la riconferma l’inserimento delle Marche nelle zone economiche speciali con i non pochi sussidi che ciò comporta. Come contraccolpo della seconda deve misurarsi con la politica della Lega che è sempre più orientata a cavalcare la demagogia di estrema destra, con la conseguenza di obbligare Meloni a rincorrerlo su quella strada. Quanto un quadro del genere aiuterà o meno il consenso ai candidati locali è tutto da vedere, perché la “nazionalizzazione” del voto amministrativo al momento non è garantita.

Il cosiddetto campo largo (fu centro sinistra) non è messo meglio quanto a coesione interna. Anche qui ci riferiamo più ad un quadro nazionale che ad un quadro locale, ma non c’è dubbio che è in buona parte su quello che si è impostata la campagna elettorale. Parliamo ovviamente della campagna diretta all’elettorato in generale, perché non siamo in grado di valutare il peso delle reti di clientela o, se volete usare un termine più neutro, di consociazione che possono essere all’opera.

Nella coalizione del campo largo si è accettata l’impostazione dello scontro anziché del confronto, perché si continua a ritenere che solo il primo mobilita, tanto a votare vanno solo quelli che si vogliono schierare e il resto si astiene. Ciò porta al prevalere del radicalismo movimentista che si distribuisce abbastanza equamente fra PD (schleiniano), M5S e AVS, ma che determina vuoti di consenso in quel centro cosiddetto moderato che pure per decenni è stato molto forte nelle Marche. Il candidato governatore Ricci è un politico molto “televisivo” (il che, come si è visto, gli è costato qualche pasticcio con la giustizia per la sua corsa al consenso pubblico) e non ha avuto remore a scendere a compromessi con le bandierine sventolate dai pentastellati e dall’estrema sinistra. Pagherà questa postura, soprattutto ora che per quanto tardivamente la componente riformista del PD ha battuto qualche colpo (timido) sul tavolo?

È curioso che le valutazioni che si faranno con l’analisi del voto del 28-29 settembre saranno per quanto possibile tenute sotto traccia da tutti i partiti, per la semplice ragione che possono interferire con le prove elettorali che si avranno a cascata in altre cinque regioni. Raddrizzare le politiche in corso non sarà facile, nonostante il fatto che almeno in alcuni casi le urne regionali si apriranno a novembre, dunque con un po’ di tempo a disposizione per riassestare qualcosa, ma non abbastanza per rivedere l’impostazione generale. Vale per entrambe le coalizioni.

Qualcosa dipenderà certo dal clima generale nel paese che può risentire della crisi internazionale, ma fino ad un certo punto perché in nessuna regione ci sono in campo figure capaci di profittare della domanda di indirizzo che viene dal disagio dell’opinione pubblica di fronte a dinamiche che sono tanto eclatanti quanto difficili da comprendere (se non si vuol rifugiarsi nei manicheismi di maniera).

Eppure in una fase di riassestamento del quadro politico tutto pesa e tutto lavora: non per sconquassi sorprendenti, ma come le classiche gocce che scavano le rocce.

vitaTrentina

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