La partecipazione alla manifestazione per la Palestina di venerdì 3 ottobre è andata oltre ogni previsione. Anche nelle piazze e nelle strade trentine. Proclamato con poco preavviso, dopo che nelle acque internazionali erano state intercettate le imbarcazioni della Global Sumud Flottilla con gli arresti e le espulsioni degli attivisti a bordo, lo sciopero ha visto un’adesione inaspettata, che ha portato nelle vie delle città un fiume colorato di persone di ogni età, dai più piccoli in spalla ai genitori, agli studenti che hanno marciato spesso accanto ai loro insegnanti, a esponenti della politica, dei sindacati, della società civile.
A unire persone tanto diverse l’indignazione e la protesta per ciò che sta accadendo a Gaza e nei Territori Occupati, per i diritti umani calpestati, per le complicità di coloro che non fanno nulla affinché il genocidio di un popolo si fermi (o addirittura lo sostengono più o meno apertamente per i loro inconfessabili vantaggi), e per la delegittimazione quotidiana del diritto internazionale. Su un aspetto in particolare vorrei però mettere l’accento. Questa mobilitazione delle coscienze sta coinvolgendo in maniera crescente il mondo giovanile, che ha ritrovato nel messaggio contro la violenza della guerra il fulcro del proprio impegno per il mondo. Per ritrovare un coinvolgimento simile occorre andare agli anni in cui, sulla scia dell’impegno di Greta Thunberg, i giovani scendevano in piazza per i Fridays For Future.
Le due grandi mobilitazioni del mondo giovanile non sono così diverse rispetto a come potrebbe sembrare: al centro stavano allora, e stanno oggi, il problema di quale futuro stiamo costruendo, la protesta contro una politica sempre meno attenta ai diritti dei più deboli, la preoccupazione per la giustizia calpestata, lo sdegno per la sofferenza delle vittime del sistema, la rabbia di fronte all’indifferenza per le conseguenze delle nostre scelte, l’indignazione per lo smantellamento degli organismi di controllo democratico a livello internazionale. Ma soprattutto, a unire la mobilita zione per l’ambiente di qualche anno fa e quella per Gaza oggi è il rifiuto della tentazione dell’impotenza. Non è poco, perché nessun movimento dal basso ha mai preso avvio da una preventiva dichiarazione di impotenza.
Difficile dire se questo riappropriarsi dello spazio pubblico da parte del mondo giovanile sarà in grado di esercitare una pressione politica trasformatrice, anche perché quasi sempre i movimenti giovanili sono nati un po’ ai margini della politica. Ma l’esigenza di veder rispettata la vita umana, la consapevolezza che la politica ha il compito di conservare la vita e non di distruggerla, la convinzione che il diritto internazionale va rispettato e non calpestato, l’auspicio di vedere riconosciuti i diritti di tutte le persone, il desiderio di vivere in un mondo in pace e non dilaniato da guerre volute da un pugno di autocrati, la convinzione che il futuro si costruisce insieme agli altri e non contro gli altri animano una parte consistente del mondo giovanile.
Per tali ragioni vedo in questa mobilitazione molto più della semplice indignazione del mondo giovanile; mi sembra piuttosto di intravedere il sogno ad occhi aperti di un mondo nel quale non ci sia posto per questa indicibile, vergognosa, cinica, violenza. E mi chiedo se sia destinato a restare solo un sogno o se non sia invece l’inizio della realtà, perché ogni realtà nuova è cominciata nello sguardo di chi l’ha sognata ad occhi aperti.