Salutato da una parte e dall’altra come grande occasione di vittoria o di rivincita, adesso il referendum sulla riforma costituzionale in materia di organizzazione della magistratura inizia ad essere percepito per quello che è: un rischioso salto nel buio che mette a rischio il nostro equilibrio politico.
Si badi bene: non perché manometta la divisione dei poteri, attenti all’indipendenza dei magistrati, allarghi a dismisura lo spazio d’azione del governo. Quelle sono favolette inventate dai vari populismi. Bensì perché, comunque andrà il voto delle urne, c’è un’alta probabilità che entriamo in uno scontro generalizzato che radicalizzerà ulteriormente le divisioni, incentiverà gli scontri e i colpi bassi da tutte le parti, e farà vivere il sistema in una instabilità in cui si insinueranno tutte le lotte corporative immaginabili.
Proprio in questi ultimi giorni ci sono segnali che di questi rischi qualcuno inizia a farsi carico tanto nel governo, quanto nell’opposizione. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Mantovano, ha buttato lì che si potrebbe ragionare per raggiungere un accordo sulle leggi di attuazione della riforma, che infatti sono il vero nodo della questione, perché come si organizzeranno i due CSM distinti, come si potrà arrivare ad un sorteggio dei componenti che non sia una lotteria alla cieca, come si potrà fare in modo che si preservi un comune sentire sul tema del ruolo della giustizia fra magistrati inquirenti e magistrati giudicanti (noi ci aggiungeremmo anche gli avvocati), sono questioni che possono razionalizzare una riforma sin qui da tutte le parti in campo ridotta a bandierine pseudo-identitarie.
Detto in termini crudi, al momento siamo di fronte a quella che si potrebbe chiamare l’alternativa del diavolo: comunque vada favorirà la crescita degli scontri. Se vinceranno i favorevoli alla riforma non sarà facile contenere gli estremisti che vi vedranno il via libera ad un ruolo autoritario (sperando che non si vada più in là) per la maggioranza al governo. Se vinceranno i voti che bocciano la riforma e la fanno decadere, altrettanto arduo sarà contenere gli estremisti che ci vedranno la conferma delle loro impostazioni radicaloidi. Nell’uno come nell’altro caso si assisterà ad uno scontro esasperato fra vincitori e vinti, il che significa comunque la destabilizzazione degli equilibri del sistema con la conseguenza di grandi spazi di manovra per gli intrallazzatori di ogni specie e colore.
Si sa che al Quirinale ci sono preoccupazioni per questi scenari e che il presidente Mattarella si sta spendendo veramente al limite delle sue possibilità e delle sue forze per rasserenare il clima e per richiamare tutti alla ragionevolezza. Tutti significa tutti, perché sa benissimo che senza uno sforzo corale il contenimento degli estremismi sarà praticamente impossibile.
A complicare il quadro c’è il fatto che i referendum sulle riforme costituzionali non prevedono alcun quorum, per cui non c’è speranza che a salvare la situazione possa venire l’astensionismo, come è stato in alcuni casi in cui il quorum era necessario. Allora si poteva dire che l’assenza dalle urne di gran parte del paese rappresentava un giudizio di non interesse per diatribe che erano strumentali alle lotte politiche, o, per meglio dire, di fazione, col risultato che esse venivano archiviate.
Così non potrà essere nel caso del referendum sulla riforma Nordio, perché comunque un risultato ci sarà e quello in nessun caso archivierà la diatriba. Ma, se il numero dei votanti non fosse considerevole, o addirittura basso, chi perde potrà delegittimare i vincitori sostenendo che non rappresentano la maggioranza del paese. Una ulteriore complicazione sarebbe data se lo scarto fra le due posizioni non fosse abbastanza netto, perché inciterebbe i perdenti a riprovarci in altre forme.
Se consideriamo come ora sta partendo il dibattito, visto che in prospettiva ci aspettano circa un cinque mesi di campagna elettorale, c’è davvero da preoccuparsi. Nessun serio e distaccato esame della questione sul tappeto, ma una gran corsa a ridurre tutto ad una zuffa fra “testimonial” vari, con abuso di citazioni a vanvera di questo o quel personaggio iconico, senza alcun senso della misura.
Il vero tema da discutere dovrebbe essere come un sistema politico può reggere senza una gestione equilibrata della distribuzione dei poteri, dove per nessuno è previsto un diritto di preminenza o di controllo assoluto sugli altri. Se non c’è questo comune sentire nelle classi dirigenti, tanto in quelle politiche, che in quelle sociali e culturali, qualsiasi tipologia di organizzazione del potere pubblico, che dovrebbe essere unificato dal riferimento al bene comune, risulterà scritta sulla carta e assente dalla vita reale.