Settimanali diocesani come laboratori di sinodalità

In un messaggio ho immaginato una “mozione” da approvare, o meglio da affidare ai vescovi di tutte le Chiese locali, che proponga il sostegno ai settimanali esistenti (e la fondazione di un settimanale in quelle realtà dove non fosse presente), come una delle scelte vincolanti e concrete di sinodalità.

Complici i frequenti ritardi postali, il sovrapporsi di alcuni funerali anche fuori città e l’ulteriore coincidenza di visite sanitarie programmate da tempo, sul mio tavolo si è accumulato un discreto numero di settimanali diocesani. Passata la settimana di competenza, generalmente diventano carta da riciclare.

Ma uno sopra l’altro, mi fanno pensare alle Chiese di origine. È un po’ uno spaccato dell’Italia: Alghero-Bosa, Trento, Novara, Agrigento, Lodi, Napoli, Rimini, Ancona-Osimo, Vicenza, Vercelli, Udine… Diverse di queste testate hanno anche il corrispondente sito web, come molte altre diocesi, soprattutto le più grandi. Ed è istintivo collegare nome e relativo vescovo, o anche ricordi di servizio pastorale in alcune, o comunità religiose del mio Istituto che sono a servizio delle parrocchie, o che operano nei servizi per i più svantaggiati attraverso cooperative sociali o presenze nel carcere.

Guardo il formato, la qualità della carta, l’impostazione grafica, i colori diversi: ci vedo differenze non solo estetiche, ma anche diversa disponibilità di mezzi e di persone. Ma perfino un buon giornalino parrocchiale, se fatto con passione, è significativo e quasi una carta di identità di quella comunità.

Perché sostenere i settimanali diocesani

Mentre li sfoglio, penso al lavoro dei responsabili e dei redattori, che non sempre trova corrispondenza nei numeri della tiratura e della diffusione nelle comunità cristiane, dove scarseggia sempre di più la consuetudine con l’odore della carta stampata, oltre ad altre carenze… Mi sembra anche di avere sul tavolo qualcosa di familiare, perché rivedo mio papà, per tanti anni “fiduciario” e corrispondente per il settimanale diocesano Vita Trentina, che aspettava il venerdì per leggerlo, pagina per pagina.

Lo scorso venerdì 24 ottobre ho avuto la tentazione di mandare un messaggio ai membri dei gruppi sinodali, riuniti a Roma per il Giubileo, ma anche per approvare gli orientamenti finali da affidare ai vescovi italiani sul tema della sinodalità.

La bozza del messaggio che ho immaginato poteva contenere una “mozione” da approvare, o meglio da affidare ai vescovi di tutte le Chiese locali, che proponga il sostegno ai settimanali esistenti (e la fondazione di un settimanale in quelle realtà dove non fosse presente), come una delle scelte vincolanti e concrete di sinodalità, perché:

  • il settimanale diocesano può esprimere un autentico lavoro sinodale, e non da oggi, come luogo di informazione, di confronto, di discussione, di comunicazione, di condivisione di idee e di esperienze;
  • le esperienze condivise come notizie sul settimanale sono solo la punta di quell’iceberg corposo che è rappresentato dalla vita ordinaria e feriale delle comunità, dalla loro vivacità locale, anche se non sempre riesce a lavorare in rete, dalla dedizione di tanti laici;
  • il settimanale è un po’ una fotografia della realtà ecclesiale, che ha magari alcuni aspetti a colori e altri in bianco e nero, è quasi una “visita pastorale feriale” che racconta con più realismo quello che non si vede nelle visite pastorali ufficiali, e cioè la vita quotidiana delle comunità locali, le loro fatiche ma anche le piccole iniziative che testimoniano una realtà spesso oggi svalutata come sorpassata o incapace di generare subito forme nuove di evangelizzazione;
  • i soldi spesi per questo non sono fondi spesi male, anzi; sono fondi spesi bene soprattutto quando permettono e sostengono le forme per facilitare la diffusione gratuita sul web dell’informazione, magari sacrificando qualche altro ambito meno “pastorale”, anche se so che le finanze diocesane piangono miseria…
  • quasi tutti i settimanali che conosco hanno anche uno sguardo che va oltre i confini parrocchiali o diocesani, vede quello che succede nel mondo e orientano i lettori a leggere, a capire, a orientarsi, a saper valutare in maniera critica e più informata…

Informazione e formazione

Si potrebbe fare certo ancora di più, ma intanto… “piuttosto che niente, meglio piuttosto”, penso mentre sto sfogliando uno dopo l’altro quelli che ho sul tavolo.

Vedo l’articolo sulle “cinque parole di speranza” per le famiglie di mons. Brambilla, quello sul potenziamento della mensa del Centro di ascolto diocesano a Faenza, il resoconto sull’incontro tra le Chiese confinanti di Italia, Slovenia e Croazia con il relativo “Appello alle Chiese” perché siano case della pace, l’articolo sul “segno giubilare” di Vicenza, con l’inaugurazione di un housing sociale al posto della sede di una ex libreria, l’appello alle comunità cristiane di Rimini per il sostegno delle iniziative che si occupano dei tanti che dormono per strada, le diverse testimonianze di missionari in queste ultime settimane che ruotano attorno alla Giornata Missionaria Mondiale, i numerosi articoli sulla ripresa sempre più faticosa della catechesi, le riflessioni dei direttori sulla situazione drammatica del popolo palestinese, calpestato dal “nemico interno” di Hamas e quello esterno di Israele, con valutazioni diverse sulla “Global Sumud Flotilla”, e qualche intervista ai partecipanti, ma con un unanime auspicio per la pace, i resoconti sui molti cambiamenti di parroci e collaboratori pastorali, molte riprese e riflessioni sulla prima lettera di papa Leone XIV, la presentazione del “Meeting regionale friulano del volontariato” (sabato 25 ottobre) che sottolinea la forza rappresentata da almeno 8.500 associazioni, la ripresa dell’annuale dossier sull’immigrazione curato da Caritas e Migrantes, a testimoniare quanto le comunità locali si spendono nell’accoglienza generosa.

Tanti temi, tante attenzioni, volutamente in ordine sparso così come mi sono venute tra mano. Insieme sollecitano ancora di più la curiosità, l’interesse, che a volte è attento solo al proprio giardino.

Invece, mi torna in mente ancora una volta mio papà: coinvolto negli anni Sessanta nella Pro Loco del paese trentino, nel primo sviluppo turistico, fece molte visite alle valli della provincia di Bolzano e di Belluno per incontrare chi se ne occupava, per vedere idee, soluzioni, scambi… Credo che le nostre comunità locali e diocesane avrebbero molto da imparare se applicassero questo metodo.

(il testo, qui ripreso con il consenso dell’autore e del direttore, è uscito il 31 ottobre 2025 sul sito dei Dehoniani www.settimananews.it)

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