La variante Vannacci, turbolenze nelle coalizioni

Non c’è solo la prospettiva del referendum sulla riforma Nordio, che peraltro sembra slittare verso aprile/maggio prossimi, a incidere sugli equilibri dei partiti, e neppure il dibattito inevitabile sulla legge di bilancio, su cui si fa molta scenografia, ma con scarsi margini di intervento (quelli che ci saranno per gli emendamenti in sede di commissione e poi di dibattito parlamentare sono piccolo cabotaggio fra le corporazioni e i partiti di riferimento). Sia pure in un ambito che interessa più che altro i politici di professione e gli osservatori specializzati ciò che sarebbe da tenere sotto analisi sono alcuni fenomeni interni alla vita delle coalizioni.

Cominciamo col destra-centro che apparentemente è abbastanza tetragono, ma che deve ora affrontare un’insidia di cui non ha tenuto gran conto. Parliamo della variante Vannacci. Il generale è sempre più convinto di essere un grande protagonista e, non contento dello spazio che gli ha regalato Salvini, continua nella sua opera di rilancio di una mitologia fascista come mezzo per far parlare di sé. Roba da fumetti, in verità, perché nessun ideologo serio della destra, non parliamo di storici, potrebbe mai sottoscrivere le scempiaggini sostenute da Vannacci sulla vicenda del Ventennio.

A destra se la cavano con l’argomento che sono esplosioni estemporanee di un personaggio bizzarro, ma così è troppo facile. Lasciar correre questa roba, che solletica una sottocultura ancora presente e capace di affascinare quelli che vogliono o almeno sognano di rovesciare i tavoli è molto pericoloso. Da quelle parti dovrebbero ricordarsi i guai che sono derivati dall’aver dato spazio durante la prima repubblica all’estremismo nell’illusione che servisse a spaventare il nemico: si è finiti nel gorgo del terrorismo e della violenza squadrista, per liberarsi dai quali ci sono voluti anni e non poco impegno.

Il cosiddetto campo largo guarda con interesse quelle derive, convinto che gli servano per alimentare un antifascismo di maniera, anche qui sottovalutando i possibili sbandamenti nelle lotte cruente di fazione: di nuovo, storie già viste. Ma al momento questo è solo un aspetto che legittima la deriva radicaloide che una parte dei gruppi dirigenti hanno considerato come un’ottima arma per espandere le loro posizioni. L’altra faccia della medaglia è la questione di chi debba detenere la leadership della coalizione come premessa per una futura candidatura a guida del governo nelle non lontanissime elezioni nazionali.

La posizione di Elly Schlein non è al momento solidissima: un po’ per le sue debolezze personali (a cui contribuisce la cerchia dei suoi stretti collaboratori), un po’ per il sorgere di altri pretendenti. La segretaria cerca di rafforzarsi, alcuni dicono perché mal consigliata, ma riteniamo che lo faccia anche di suo, contando sulle gambe di Landini e del duo Fratoianni-Bonelli: dunque avanti con una retorica da rivoluzionari inventati, e serrare le fila dei fedelissimi. Il fatto è che la sua debolezza è palese e se ne stanno accorgendo in molti anche dentro il PD, per cui si comincia a ragionare se valga la pena di naufragare per sostenere il movimentismo (farlocco) schleiniano. Ovviamente l’ha capito l’altro grande aspirante a Palazzo Chigi, cioè Giuseppe Conte, che da ultimo sembra darsi da fare per un ridimensionamento del barricadierismo dei Cinque Stelle: bene gli attacchi alla Meloni, rabbiosi quanto si può, ma niente scivolate nella mitologia dell’estrema sinistra (vedi la questione dell’imposta patrimoniale).

In questo clima c’è ampio spazio per tutti i corsari della politica, che possono intanto confondere le acque patrocinando questo o quello come ipotetico “federatore” della coalizione, poi su chi stringere si vedrà fra qualche mese. Il giochetto è più che rischioso, ci si stanno infilando molti dei cosiddetti “salotti televisivi” e lo si potrebbe vedere con qualche attenzione per le “comparsate”: chi chiama la sindaca di Genova Salis, chi fa risorgere Bonaccini come uomo di esperienza gestionale, chi insiste con i riferimenti alla vecchia guardia (Bersani, Rosy Bindi, Bertinotti, e avanti).

Con un clima politico non proprio sano né a destra, né a sinistra ci si chiede come si potranno affrontare non solo i grandi nodi internazionali (tutti ancora sul terreno), ma anche scadenze niente affatto banali come, per fare un esempio importante, l’avvio di un ridisegno delle norme di funzionamento della UE vista l’insostenibilità del sistema degli attuali poteri di veto.

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