A cinquant’anni dalla legge che avrebbe dovuto umanizzare il carcere e renderlo luogo di rieducazione, gli istituti penitenziari italiani restano sovraffollati, in sofferenza e ancora lontani dallo spirito della Costituzione. Lo hanno rimarcato i primi interventi che hanno aperto, questa mattina nella sala conferenze Fulvio Zuelli al Palazzo di Giurisprudenza, il convegno “Emergenza carcere a 50 anni dalla legge di riforma dell’Ordinamento penitenziario”, che oggi (14 novembre) e domani si propone di riaccendere il dibattito pubblico sul tema del carcere e della pena. Il convegno è promosso dalla professoressa Antonia Menghini, già Garante dei diritti dei detenuti della Provincia autonoma di Trento e docente di Diritto penale alla Facoltà di Giurisprudenza di UniTrento, con Elena Mattevi, ricercatrice di Diritto penale presso lo stesso Dipartimento, in collaborazione con la Camera Penale di Trento
Nel suo saluto, introdotto dal Preside della Facoltà di Giurisprudenza, Paolo Carta, il rettore dell’Università di Trento, Flavio Deflorian, ha annunciato che l’Università a breve sottoscriverà una convenzione per inserire persone che usufruiscono della messa alla prova e ricordato che cinque persone ristrette nel carcere di Trento sono iscritte ai corsi di UniTrento (“Non sono grandi numeri, ma in questo caso non sono i numeri a contare”). Contribuire a formazione e reinserimento di persone recluse è un compito che sentiamo come importante.
L’assessore provinciale Achille Spinelli ha osservato che la Provincia Autonoma di Trento, pur non avendo competenza sull’amministrazione penitenziaria, interviene con interventi sulla salute e per servizi di supporto, come sportelli, laboratori di formazione al lavoro, sostegno abitativo, citando il Piano d’azione 2024-26 per il reinserimento sociale dei detenuti, quale “strumento importante” per una programmazione condivisa.
Da Antonio Angelini, Presidente dell’Ordine degli avvocati di Trento, è venuto un appassionato appello agli operatori del diritto (magistrati, avvocati, docenti universitari), ma anche ai politici, a non limitarsi al lamento o alla denuncia, ma a dare concretezza di risposte, intervenendo prima di tutto sul piano culturale, di fronte a una diffusa opinione che vede nel carcere lo strumento per reprimere chi ha sbagliato, “buttando la chiave”, e dimentica invece la funzione riabilitativa.
Il Presidente del Tribunale di Trento, Luciano Spina, ha richiamato la “novità” della riforma del 1975, che per la prima volta riconosceva la soggettività dei diritti del detenuto e istituiva un giudice specializzato per il controllo della pena, e ha suggerito di guardare alla riforma dell’ordinamento penitenziario minorile (“Lo dico da ex Presidente del Tribunale dei minori di Trento) che potrebbe essere di ispirazione per il miglioramento del sistema.
Per l’avvocato Roberto Bertuol, Presidente della Camera penale di Trento, che co-promuove il convegno, “è un dovere” occuparsi di una riforma che è stata portata avanti con grande fatica e che richiede di essere applicata in modo più efficace.
Una legge, quella sull’ordinamento penitenziario, ha concordato Lorenza Dimarchi, Presidente facente funzioni del Tribunale di sorveglianza, che non è inadeguata, anche se gli ultimi cambiamenti “hanno aggravato la condizione per il giudice e e per il condannato, senza incidere gran che”. In particolare, Dimarchi ha osservato come l’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario – che prevede delle preclusioni all’accesso ai benefici penitenziari per i condannati per determinati reati gravi – limiti pesantemente il giudice, mentre una nota di ottimismo l’ha riservata per i cambiamenti che ha osservato nel carcere di Spini di Gardolo, dove è stato fatto molto, ha detto, riservando parole incoraggianti per la nuova iniziativa che vedrà l’apertura di una pizzeria a fianco del carcere, dove saranno occupate anche persone ristrette (“Mi sembra un’ottima iniziativa per aprire il carcere alla alla città”).
Note più amare dall’intervento, da remoto, di Valeria Torre dell’Associazione Franco Bricola: “La questione carceraria è il vero scandalo del nostro sistema, è un grande vulnus alla Costituzione”, ha detto, ricordano la drammaticità della situazione (sovraffollamento, suicidi).
Per Annarita Nuzzaci, direttrice della Casa Circondariale di Trento, il carcere è specchio della società, una società che “si divide in due tronconi: quelli che pensano che i detenuti stanno troppo bene e quelli che pensano che stanno troppo male”.
Dopo il saluto di Giovanni Maria Pavarin, Garante dei diritti dei detenuti della Provincia autonoma di Trento, che ha ricordato il prezioso apporto al suo Ufficio dei quattro tirocinanti di UniTrento, il convegno è entrato nel vivo con l’intervento della professoressa Antonia Menghini.
La legge sull’ordinamento penitenziario, n. 354 del 1975, ha ricordato Menghini, fu salutata con favore “e celebrata quale momento di dichiarata cesura con il passato e nello specifico con il Regio decreto del 1931, figlio della temperie fascista”. Da allora il detenuto è divenuto, “almeno sulla carta”, soggetto titolare di diritti. Un cambio di prospettiva rafforzato poi dall’affermarsi anche di una tutela di tipo giurisdizionale dei diritti (in proposto, Menghini ha citato la sentenza della Corte costituzionale n. 26/1999 e quella delle Sezioni unite della Corte di Cassazione Gianni del 2003), fino alla pesante condanna dell’Italia nel caso Torreggiani, legata alla situazione di sovraffollamento delle carceri, cui il legislatore ha posto rimedio ritoccando due articoli dell’ordinamento penitenziario (35 bis e ter), “funzionali a porre fine ad eventuali lesioni dei diritti e ad ottenere un ristoro per il connesso pregiudizio sofferto”.
Il dettato costituzionale che tutela la dignità anche della persona ristretta, prevedendo all’art. 27 che le pene non possano consistere “in trattamenti contrari al senso di umanità”, si scontra però duramente con la realtà del nostro sistema carcerario, che compromette i diritti delle persone detenute e la stessa offerta di trattamenti rieducativi.
Il bilancio, ha osservato in conclusione, è negativo. “La distanza tra norma scritta e realtà delle carceri si è fatta siderale, rimane una carta delle promesse infrante”. La situazione delle carceri è critica, le attività trattamentali limitate, così come le misure alternative. “La perenne emergenza del sistema carcere e le distorsioni in atto rendono più che evidene la cesura tra carcere e dettato costituzionale”.
Lo ha confermato, dati alla mano, il professor Gian Luigi Gatta, docente all’Università di Milano Statale, e Presidente dell’Associazione italiana dei professori di diritto penale. I numeri legittimano il parlare di emergenza. I detenuti sono 63.493, su 51.249 posti regolamentari (ma quelli effettivamente disponibili sono ancora meno: 47mila e rotti). Ma il sovraffollamento non è il solo problema. C’è il dramma dei suicidi: nel 2024 si sono registrati 90 episodi, un triste record (aggiorna il drammatico contatore “Ristretti Orizzonti”, vedi ristretti.it). Gatta ha contestato con forza le ultime uscite del Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, la più recente giovedì 13 in Parlamento, che nega il nesso tra sovraffollamento e suicidi. “La relazione del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute a fine 2024 ci dice che su 54 istituti penitenziari dove ci sono stati suicidi, 51 avevano un indice di sovraffollamento superiore a cento”. Ma il sovraffollamento non è che uno dei fattori dell’emergenza carcere, forse il più evidente. “C’è un’emergenza meno evidente che è quella delle reali condizioni del carcere: strutture fatiscenti, vecchie, in alcuni casi, risorse limitate, celle infestate da parassiti”. E poi l’inadeguata assistenza sanitaria e psicologica, il numero elevato di tossicodipendenti, di persone con disagio mentale, il numero elevato di atti di autolesionismo… Spie di un disagio. Ancora, la difficoltà ad eseguire le attività trattamentali, per ragioni legate vuoi agli spazi vuoi alla scarsità di risorse per il personale, polizia penitenziaria ed educatori. Un accenno anche all’esecuzione penale esterna: si è superata la soglia delle 100mila persone che scontano la pena fuori dal carcere, affidate agli Uffici di esecuzione penale esterna (Uepe), più altre 40 mila persone sotto osservazione. Ma al successo crescente della messa alla prova e delle pene sostitutive, ha osservato Gatta, non corrisponde una diminuzione del numero delle persone ristrette. E così sono circa 300mila le persone di cui si devono occupare i circa 250 magistrati di sorveglianza.
Il convegno prosegue domani, 15 novembre, con un approfondimento sulle misure alternative alla detenzione (inizio lavori alle ore 9), e si concluderà con una tavola rotonda che metterà a confronto a confronto mondo accademico, della magistratura e del sistema carcerario sulle prospettive di riforma e sulle buone pratiche di umanizzazione della pena.