“L’umanità potrà vincere questa battaglia climatica solo se collegheremo azioni più forti per il clima alle priorità quotidiane delle persone”. Con queste parole — pronunciate dal segretario esecutivo dell’UNFCCC, Simon Stiell — si è aperta la quarta giornata della Conferenza ONU sul clima di Belém, richiamando l’attenzione sul rapporto diretto tra politiche climatiche e vita reale.
Mettere al centro le persone significa considerare salute, istruzione e giustizia sociale come elementi essenziali dell’adattamento climatico. Questo approccio ha guidato l’adozione del Belém Health Action Plan, un impegno globale — coordinato dal Brasile insieme all’Organizzazione Mondiale della Sanità — per rafforzare sistemi sanitari resilienti, capaci di rispondere a eventi climatici sempre più frequenti. Il piano include sorveglianza epidemiologica più solida, formazione, innovazione e politiche basate sull’evidenza. A sostegno dell’attuazione arrivano anche 300 milioni di dollari di fondazioni filantropiche.
La centralità della salute è legata alla dimensione ormai tangibile degli impatti climatici. Secondo il Lancet Countdown 2025 Report, le morti legate al calore sono aumentate del 23% dagli anni Novanta, superando le 500.000 all’anno. Ondate di calore, alluvioni, siccità e tempeste aggravano malattie cardiovascolari e respiratorie, aumentano la malnutrizione e mettono sotto pressione servizi sanitari spesso già in difficoltà. Le comunità vulnerabili — bambini, anziani, persone con patologie croniche — risultano le più esposte.
E se il cambiamento climatico indebolisce la salute “da lontano”, i combustibili fossili lo fanno da vicino. L’ultimo rapporto di Amnesty International, diffuso in anteprima dal Guardian, stima che oltre due miliardi di persone vivano entro cinque chilometri da infrastrutture fossili. L’esposizione aumenta i rischi di tumori, problemi respiratori e disturbi cardiovascolari, e si concentra soprattutto in aree già segnate da disuguaglianze economiche e sociali.
Non sorprende, dunque, che la giornata abbia guardato anche all’istruzione e alla giustizia sociale come leve per l’adattamento. La discussione ministeriale sull’educazione ha sottolineato come integrare la alfabetizzazione climatica nei curricula possa dare alle nuove generazioni strumenti per comprendere meglio i rischi e contribuire alle soluzioni. Allo stesso tempo, il riferimento ai diritti e all’equità sociale ha ribadito che gli impatti climatici restano più gravosi nei contesti fragili, dove mancano risorse per rispondere e riprendersi.
La quarta giornata del COP30 ha così proposto una lettura più ampia dell’adattamento: non solo infrastrutture o target, ma condizioni di vita, capacità istituzionali e riduzione delle disuguaglianze. Un approccio che, come suggerisce Stiell, punta a collegare l’azione climatica alle priorità concrete delle persone, rendendola più efficace e più vicina alla realtà.