Cop di Belém: l’incontro con la Casa de Chico Mendes, voce dei popoli del Brasile

Ângela Mendes, la figlia di Chico, nello spazio che rende omaggio al leader ambientalista di Xapuri. Foto © Juliana Pesqueira/Amazônia Real

Proseguono i negoziati alla COP30. Le nuove bozze dei testi sono sul tavolo, cresce l’attesa per una possibile roadmap globale di uscita dai combustibili fossili e i ministri dell’ambiente arrivati a Belém tentano di trovare un accordo finale. Ma, anche in questa seconda settimana, la conferenza vive oltre le sale negoziali: negli spazi della società civile, nei luoghi dove la storia dell’Amazzonia prende voce.

Tra questi, uno dei più significativi è la Casa de Chico Mendes, allestita nel parco del Museo Emílio Goeldi. È qui che si coglie la forza della partecipazione dei popoli originari – le popolazioni indigene presenti in Brasile da prima della colonizzazione – e dei popoli tradizionali, comunità non indigene che da generazioni vivono in relazione diretta con la foresta, come quilombolas, pescatori, ribeirinhos, raccoglitori di castagne. Due realtà diverse ma unite da una stessa battaglia: difendere i territori e i diritti minacciati da deforestazione, grandi opere e attività estrattive.

Chico Mendes, leader sindacale dell’Acre, nasce proprio da una di queste comunità: era un seringueiro, un raccoglitore di caucciù che viveva del lattice delle seringueiras senza abbattere gli alberi, secondo una pratica sostenibile tramandata per generazioni. Negli anni ’80 organizzò le “empates”, blocchi pacifici per fermare la distruzione dell’Amazzonia, e denunciò la violenza dei latifondisti. La sua intuizione più innovativa fu comprendere che la tutela della foresta non poteva essere separata dai diritti di chi la abita. Per questo ampliò il concetto di riserva estrattivista affinché includesse, oltre ai popoli indigeni, anche i popoli tradizionali: comunità che vivono delle risorse naturali senza depredarle.

Mendes fu assassinato nel 1988, ma la sua battaglia ha lasciato un segno profondo. “L’eredità di mio padre oggi è raccolta soprattutto dalle donne e dai giovani”, racconta Angela Mendes. Ed è un dato politico: le donne e i minori sono tra i più esposti alle violenze ambientali e sociali, ai conflitti territoriali e agli impatti della crisi climatica. Eppure sono spesso loro a guidare le mobilitazioni, a custodire conoscenze comunitarie e a sostenere le lotte per i diritti.

Oggi in Brasile esistono oltre cento riserve estrattiviste, e il processo di riconoscimento continua. L’eredità di Mendes vive non solo nei movimenti sociali, cresciuti in numero e organizzazione, ma anche dentro le istituzioni: Marina Silva, attuale ministra dell’Ambiente, fu sua compagna di lotta e oggi porta nelle politiche pubbliche quella stessa visione. E la Lettera ai giovani del futuro, scritta da Mendes poco prima del suo assassinio, resta un invito a difendere la foresta e a combattere le disuguaglianze. Alla COP di Belém, dove si decide il futuro climatico globale, la sua voce continua a indicare una strada concreta e radicata nei territori.

La delegazione trentina organizzata dall’associazione Viracao&Jangada insieme ad Ângela Mendes, davanti a una tipica casa di seringueiros. Foto © Marzio Fait
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