COP30, la corsa alla roadmap sui fossili. E l’Italia frena sull’accordo

Il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva è tornato alla COP con l’obiettivo di accelerare la fase finale dei negoziati. © Antonio Scorza/COP30

A pochi giorni dalla chiusura della COP30 a Belém, i negoziati entrano nelle ore decisive. Da lunedì il lavoro è frenetico attorno a un possibile accordo storico: una roadmap globale per l’uscita dai combustibili fossili. Un obiettivo ambizioso, che fino a pochi mesi fa sembrava fuori portata. La sua genesi è chiara: l’annuncio iniziale del presidente brasiliano Lula, poi l’ingresso ufficiale del tema in agenda, e infine un sostegno crescente da parte di un numero sempre maggiore di Paesi.

Oggi sono 85 gli Stati favorevoli a includere nel testo finale un piano concreto di phase-out. L’Unione Europea vorrebbe presentarsi con una posizione unitaria, ma il fronte si incrina su un punto: l’opposizione di Italia e Polonia. Roma non figura nemmeno tra gli 82 Paesi che ieri hanno firmato la richiesta formale per una roadmap vincolante. Una scelta che pesa, soprattutto perché gli interessi energetici italiani restano legati a un’economia che fatica a guardare oltre il passato, con settori strategici in difficoltà e scelte politiche che sembrano confermarne il declino.

La direzione della transizione energetica globale, intanto, è inequivocabile. «Stiamo assistendo all’inizio della fine dell’era dei combustibili fossili e dobbiamo prepararci alla prossima», ha dichiarato Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale dell’energia. Nonostante questo, l’unica proposta portata dall’Italia alla COP30 — l’uso esteso dei biocarburanti anche in settori dove sono una tecnologia ormai perdente — rischia di consolidare un ruolo marginale nell’economia che verrà. Un’impostazione che presenta costi climatici e industriali destinati a farsi sentire a lungo.

Mentre i governi trattano, la società civile prova a spingere verso un accordo. E anche le istituzioni religiose fanno la loro parte. Durante la COP30, 62 enti religiosi di diversi Paesi hanno annunciato nuovi impegni di disinvestimento dalle aziende dei combustibili fossili, inviando un segnale politico chiaro sulla necessità di accelerare l’uscita da carbone, petrolio e gas. Tra i firmatari figurano cinque diocesi cattoliche — quattro italiane e una canadese — oltre a ordini religiosi europei, istituti finanziari protestanti in Germania e 42 membri della rete tedesca di investitori istituzionali della Chiesa protestante. In Italia, le dichiarazioni delle diocesi richiamano la giustizia climatica, il legame tra fossili e conflitti, e l’impegno nelle comunità energetiche rinnovabili.

L’annuncio si aggiunge all’appello di Papa Leone XIV, che nei giorni scorsi ha invitato i negoziatori di Belém ad «ascoltare il grido della Terra e dei poveri» e a un’azione «coraggiosa e coordinata». Mentre la COP30 entra nel suo momento più delicato, resta aperta una domanda: l’Italia sceglierà di schierarsi con chi spinge per un accordo di portata storica o continuerà a difendere posizioni sempre più minoritarie nel nuovo equilibrio energetico globale?

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