Lo spunto
Sono passati 43 anni dall’ultimo lavoro generale sulla storia dell’arte nel Trentino, prodotto da Nicolò Rasmo nel 1982. Siamo ora di fronte ad una nuova operazione di sintesi dovuta all’impegno dei curatori (Ezio Chini e Marcello Beato) coadiuvati da ventiquattro studiose e studiosi, soprattutto giovani impegnati ed esperti, padroni del linguaggio artistico e capaci di intuizioni e connessioni importanti, molte volte inedite (…) che permettono un documentato passaggio da un momento all’altro della storia artistica del territorio, in cui storia e storia dell’arte si compenetrano (…) con piacevoli soste costituite dagli approfondimenti (in numero di 41) veri e propri saggi scelti per integrare la conoscenza di momenti, di storie, di movimenti artistici e poi chiese, palazzi, castelli sollecitando nel lettore curiosità e aspettative. (…) E sono felice che all’inizio di questo volume (“L’arte in Trentino dal Medioevo al Novecento”) sia stato dato ampio spazio al doveroso ricordo di quegli studiosi che hanno contribuito alla costruzione e alla diffusione della storia dell’arte trentina, come Giuseppe Gerola, Gino Fogolari, Simone Weber, Giulio Benedetto Emert e molti altri.
Michelangelo Lupo
dalla prefazione di “L’arte in Trentino. Dal Medioevo al Novecento” (Antiga Edizioni, 2025)
Il volume di Ezio Chini, curato con la collaborazione del giovane studioso bolzanino Marcello Beato, presenta le sue 604 pagine e le ancor più numerose illustrazioni come un corposo manuale di storia dell’arte, ricchissimo di riferimenti, di nomi e date, con elementi di estetica e di critica in grado di fornire un quadro aggiornato e completo sull’arte di un territorio particolare com’è quello trentino.
Il libro va però oltre gli intenti didattici e risulta prezioso, anche e forse soprattutto, per i collegamenti che propone fra tutto il territorio atesino e tirolese lungo le vie che collegavano (e collegano) il Trentino alle regioni veneto-lombarde da un lato e all’area mitteleuropea dall’altro: sono vie percorse nei secoli non solo da mercanti ed eserciti, ma anche da artisti e pittori itineranti, spesso riuniti in botteghe che passavano di valle in valle per dipingere affreschi sacri in chiese e cappelle, ritratti e scene profane in castelli e palazzi.
Quanto a morfologia fisica, Ezio Chini paragona, in maniera originale, questa “regione atesina a una foglia di vite capovolta”, che trae origine dal Passo del Brennero e verso sud sviluppa un ventaglio di vallate collegate con le regioni italiane più vicine: lungo l’Adige verso Verona, la Valsugana verso la Repubblica di Venezia, l’Alto Garda alla pianura del Po, mentre la valle del Chiese conduce a Brescia e il frequentatissimo passo del Tonale mette in comunicazione le valli di sole e di Non con la Lombardia nord orientale.
“In virtù di questi contatti il Trentino è stato sensibile agli influssi della civiltà figurativa delle regioni contigue d’Italia ma anche – e non poco – a quelle che filtravano da Oltralpe e dalle pianure dell’Europa centrale, di cultura germanica. Ciò ha contribuito a creare un continuo mutare dei caratteri della produzione artistica, con intrecci e sovrapposizioni spesso contraddittori”. Ma è proprio per questa ragione che il libro di Chini, uno studioso animato da una versatile curiosità (è stato direttore di quello scrigno di bellezza, identità e storia che è il Castello del Buonconsiglio e il suo Museo, i suoi lavori più recenti spaziano dalle case rinascimentali affrescate di Trento, all’incontro fra natura ed arte nelle piccole cappelle e architetture rurali delle Giudicarie) va ben oltre il “manuale” e appare quasi una guida di viaggio, per conoscere anche nei suoi aspetti spesso considerati “minori”, un territorio ricco di suggestioni d’arte, non solo di natura.
Viene anche smentito il pregiudizio che il Trentino non abbia una “sua” arte e che le opere sul territorio siano soprattutto “di importazione”. Non è così. Piuttosto la foglia di vite assorbe dalle sue nervature la linfa di territori diversi, ma poi riesce ad elaborarla – si potrebbe dire continuando la metafora – in un suo vino originale. “Ciò che manca – come osserva Beato – è l’assenza di elementi peculiari che anche solo in un determinato periodo abbiano caratterizzato inequivocabilmente la produzione artistica trentina, la mancanza insomma di quel carattere unitario, presente invece in altre regioni”. E forse, tuttavia, è proprio questa eterogeneità a dare “suggestività” alle espressioni locali “costringendo lo studioso ad un’apertura su tutti gli ambienti circostanti”.
In questo senso il manuale – guida di Chini non solo introduce il lettore alle varie situazioni dell’arte nel Trentino, ma lo aiuta anche a “decodificarne” la complessità. Di particolare interesse per la chiarezza (ma anche la piacevolezza dell’esposizione) risultano i periodi complessi dell’arte romanica e gotica e quelli del Sei-Settecento, mentre appaiono i contributi sulla valorizzazione del patrimonio culturale negli anni dell’Autonomia con riferimenti alla legislazione provinciale. Da considerarsi una novità per la loro completezza e per gli approfondimenti che li arricchiscono sono i capitoli sull’Ottocento e il Novecento. “Molto più di un secolo di transizione” viene definito l’800, che vede anche esaminate, con nitide mappe, tutte le tappe dello sviluppo urbano del capoluogo oltre ad una selezione dei più pregevoli monumenti del civico camposanto.
Quanto al Novecento si distingue per una completa rassegna, a cura dell’architetto Manuela Baldracchi, fino ai giorni nostri, comprensiva delle opere pubbliche del paesaggio cittadino quotidiano (stazione, poste, regione, università…) curate da progettisti spesso ancora attivi. Ed anche per la pittura trovano posto gruppi artistici tuttora impegnati e militanti, assieme alle gallerie d’arte che li espongono e li fanno conoscere. Sotto questo aspetto il libro di Ezio Chini, che si presenta venerdì 21 novembre alle 18 a palazzo Geremia, è fondamentale non solo alla cultura del Trentino, ma alla sua storia e identità.